Omicidio ad alta quota
Lo stilista Giosafat Gori, fiorentino di nascita, milanese d’adozione, ambasciatore della moda italiana nel mondo, viene avvelenato sul volo AF 4504 con destinazione New York. L’omicidio scuote l’ambiente delle passerelle e suona quasi come una beffa per chi deve occuparsi del caso, perché il commissario Nino de Santis – meridionale, in servizio presso la Questura di Milano – non ha mai messo piede su un aereo e neppure conta di farlo. Nel poliziotto, bonariamente sarcastico, che ha abbracciato le abitudini della metropoli del Nord, anche grazie all’amatissima moglie meneghina, continuano a fremere le radici della propria terra allungata sul mare, il borgo costiero più piccolo d’Italia. Ed è con la stessa grinta con la quale gli antenati affrontavano il mare in tempesta e i predoni saraceni, che prende a navigare tra una miriade di informazioni contenute in un’agenda rinvenuta dalla figlia della vittima, Margot, un’inglese che non sembra un’inglese. A fargli da bussola è l’intuito dell’investigatore di razza. Si schiude così l’universo della Mondial Glamour, facendo emergere, al di là della patina dorata, l’affollata solitudine di Giosafat Gori, gli intrecci meschini dei soci, Galbiati e Castelli, entrambi snob e principali indiziati, le ambizioni distruttive di modelle straniere, la febbre spasmodica per il tavolo verde, la ricerca ossessiva della bellezza e della forma perfetta. Un gioco di specchi, dove l’importante è apparire. Quasi come una scappatoia da questo cosmo in sé conchiuso è l’amicizia di Gori con un modesto artista, Mirko Lucchesi, la cui conoscenza risale al tempo in cui lo stilista ancora non apparteneva al gotha della moda. A spianare la strada alla verità sarà il dvd custodito da fra Leopoldo, un francescano enigmatico quanto erudito della Basilica di Santa Croce, in Firenze, dove de Santis si recherà, in breve trasferta, per incontrarlo, rimanendo estasiato dalla profusione di meraviglie del Tempio delle Itale Glorie.
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Non inganni il titolo: questo bel giallo non si svolge dentro un aeroplano in viaggio sopra le nuvole, ma ha i piedi ben piantati sulla terra, per la precisione affonda le radici nel mondo della moda e dell’imprenditoria rampante milanese.

Intendiamoci: il motore della storia è l’omicidio, inizialmente scambiato per fatale malore nel posto sbagliato al momento sbagliato, di un affermato stilista che incontra la morte durante la traversata atlantica in aereo.

Ma da qui, a cerchi via via più ampi, l’affresco narrativo si irradia su tutto l’ambiente, pieno di contraddizioni e bassezze al di là della scintillante immagine, di cui la vittima era parte importante.

A favorire l’immersione critica, spesso impietosa, in questa odierna “Milano da bere” è la profonda diversità tra i due investigatori della Polizia, il Commissario Nino de Santis e l’Ispettore Giampaolo Lezzi, incaricati dell’indagine, e il contesto umano e sociale su cui si esercita.

I due sono entrambi “pesci fuor d’acqua” rispetto alla cultura e ai costumi milanesi in generale, al di là dell’idiosincrasia con la  “jet society” della capitale lombarda. 

Il primo è un campano trapiantato al Nord che, nonostante l’inserimento di lunga pezza e il successo professionale, rimane profondamente legato ai pregi e ai vizi della sua meridionalità, fatta di posatezza e gusto del bello che malsopporta, pur accettandola ed adeguandosi, la frenesia nordista.

Il secondo, pur indigeno, è sempre stato un cane sciolto, e ancor di più da quando vive uno stato tra il masochistico e l’amaramente filosofico, di separato in casa.

La “strana coppia” attraversa una vicenda via via sempre più torbida e riprovevole con un’efficienza e una determinazione investigativa che viene dal sentirsi, ed essere, “altro” dalla variegata e poco commendevole fauna umana che tocca loro affrontare per raggiungere la verità.

La quale, alla fine, sarà ancor più sorprendentemente dolorosa di quanto ci si possa aspettare. 

 

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