L’odore di croissant e l’aroma del caffè gli avvolsero lo stomaco. “Come fa un uomo a iniziare la giornata senza aver fatto la colazione?” Trasse un sospiro ed entrò nel bar, pensando che tanto il morto poteva aspettare. Se non hanno pazienza loro, chi ce la doveva avere?
Bastano poche frasi, un pensiero, per entrare nel cuore del Commissario Alvise Terranova.
Un’isola nell’isola, quella di San Pietro, in Sardegna.
Antonio Boggio ha scelto di ambientare proprio qui il suo romanzo d’esordio: “Omicidio a Carloforte”, edito da PIEMME.
Carloforte, il paese dove Alvise è nato e vissuto finché il lavoro non lo ha portato “in continente”, fuori dalla Sardegna.
Ora, è tornato a casa dove tutto è uguale, tutto è diverso.
È novembre. Il cielo e il mare dopo il temporale sembrano un dipinto di pennellate blu, con molte sfumature.
Alvise Terranova è impaziente di rimettere la barca che era stata di suo padre, in navigazione.
Tanto, “a Carloforte, non succede mai niente.”
Ma nella Chiesa della Madonna dello schiavo, il parroco viene trovato morto nella canonica.
Il medico legale, detto “il Topo”, perché qui hanno tutti un soprannome, liquida il tutto con “morte naturale” in seguito a una caduta dalle scale.
Il Questore chiude il caso.
Ma attorno alla figura alla figura di Padre Moresco gravitano tante vicende e troppe persone, ognuna con una storia.
Il commissario Alvise Terranova continua la sua indagine in privato.
C’è qualcosa che non lo convince, qualcosa fuori posto.
Il prete è un personaggio ambiguo: era sempre disponibile e pronto ad accogliere e aiutare tutti ma era anche un uomo rigido, ligio al suo ruolo, che non voleva unire il sacro e il profano nemmeno per una ricorrenza come i festeggiamenti per la Madonna dello schiavo.
Però in privato si concedeva vizi che stonavano con il resto.
Aveva fatto scelte discutibili che scatenavano conseguenze inattese.
Chi era Padre Moresco?
È caduto? O lo hanno ucciso?
I personaggi
Alvise Terranova, da buon filibustiere, è un uomo arguto, sarcastico, con la battuta sempre in tasca.
I dialoghi sono davvero divertenti. Il collega Rivano è un ottima spalla.
Altresì è riservato, attento alle emozioni. Scrive poesie, tra le mura di casa si rilassa ascoltando i dischi di Tom Waits.
Amante del buon vino e del buon cibo, sostiene sia impensabile cominciare la giornata senza aver fatto colazione.
Si immerge nel suo lavoro per arrivare alla verità ma è in grado di percepire la bellezza del mondo nelle piccole cose. E di fermarsi a guardarle.
Ci sono, in “Omicidio a Carloforte”, diversi personaggi femminili che solo all’apparenza sembrano marginali ma che in realtà hanno peso e sostanza in tutta la storia. C’è Maddalena Tiragallo, che sostiene di continuo “Se qui ti danno un’etichetta ti rimarrà incollata addosso per sempre”, ma è la prima che ci si appiglia.
C’è Elisabetta Magari, che lavora al bar di famiglia, il Bar Cipollina.
Il brutto anatroccolo che diventa un bellissimo cigno bianco. Arguta e simpatica, forse l’unica in grado di tenere testa e conciliarsi con il carattere del commissario Alvise.
C’è Ines, la perpetua, che ha perso tutto e trova pace solo negli ambienti della Chiesa. Maria Luisa, giovane, impaurita dalla vita ma in gamba, in grado di prendere decisioni migliori di chi l’ha preceduta.
E poi c’è un altro personaggio.
Fondale di tutta la storia. Cielo e terra. Caruggi e stelle. Case e persone. Mare.
È l’isola nell’isola, il paese teatro di “Omicidio a Carloforte”.