Recensione a cura di Rino Casazza
Tullio Avoledo è uno scrittore noto per ambientare le sue storie di suspence in un futuro prossimo più o meno distopico. Nel 2020, col romanzo “Nero come la notte”, ha modificato parzialmente il tiro scrivendo un noir d’azione. Parzialmente poiché l’ambientazione rimane quella preferita, ovvero un’Italia degli anni prossimi – o di un universo parallelo? – segnata, al netto delle diversità fantastiche ma plausibili, dagli stessi problemi che caratterizzano il presente. L’approdo al noir è stato premiato dal successo, tanto che il romanzo ha vinto uno dei più importanti premi letterari nell’ambito del genere. Tutti sono stati concordi nell’attribuire in gran parte la riuscita del romanzo al personaggio protagonista, il poliziotto Sergio Stokar, notevole figura di duro con simpatie naziste, drogato e dissoluto ma capace di investigare con una risolutezza ed una capacità di combattimento degne dei migliori “antieroi” della letteratura poliziesca. Il recente romanzo di Avoledo, “Non è mai notte quando muori”, è a tutti gli effetti un sequel di “Nero come la notte”, riportando in scena Stokar qualche tempo dopo la fine della precedente avventura.
La caratteristica più significativa di questa nuova prova è un ulteriore aggiustamento di tiro. Ci troviamo infatti nel pieno di una “spy story” superclassica”. Stokar, infatti, viene assoldato in qualità di contractor in una missione ad alto rischio dai complessi, ed anzi vertiginosi, risvolti internazionali, che vedono al centro un immaginario stato africano, l’’Ard Alshams, la cui situazione somiglia molto a quella postpandemica di analoghi paesi del continente nero.
Esemplarmente, come in ogni storia di spionaggio che si rispetti, il lettore, a fianco del protagonista, si trova ad affrontare una quasi inestricabile scatola cinese di giochi, doppi giochi, e persino tripli e quadrupli giochi, scatenati dal fatto che sull’Ard Aslams, terra di suo disastrata da dittature sanguinarie e vessatorie verso la popolazione locale, si rivolgono gli appetiti di tutte le potenze mondiali e delle loro multinazionali ingorde ed espansioniste.
Secondo la massima che meglio incarna lo spirito di una “spy story”, l’avventura che affronta Stokar è di quelle in cui “non bisogna fidarsi di nessuno”.
È indubbio il fascino del personaggio principale, un uomo totalmente disincantato per le turbolente e terribili esperienze fatte, e tuttavia in qualche modo redento e approdato ad una filosofia di vita con una sua per quanto pessimistica dignità.
Veramente grandiosa la rappresentazione dell’Ard Aslams, di cui vengono descritti i luoghi, totalmente inventati, con minuzia e grande evidenza visiva. Spiccano le scene che si svolgono in letterali “cattedrali nel deserto”, edifici mastodontici e labirintici creati nel mezzo dell’ interminabile nulla sabbioso da una folle mania del gigantismo, indistruttibili e fragili allo stesso tempo.