“Neve sporca” è il nuovo romanzo di Massimo Marcotullio che vede come protagonista l’investigatore Beo Fulminazzi alle prese con inquietanti ed efferati omicidi e con un serial killer che gioca con il tempo: le lancette dell’orologio scorrono piuttosto in fretta, ogni sei giorni viene ritrovato un cadavere.
Beo può contare sull’aiuto del figlio Kyriam, un prodigio nel campo dell’informatica, e sul suo simpatico amico l’ispettore Peppino Riffaldi – non in sintonia col commissario Gregucci – che si occupa delle indagini e che afferma con forza e in maniera puntigliosa che queste morti sono di matrice Jihadista e riconducibili al terrorismo islamico, soprattutto dopo la morte di Don Meriggi, prete dal passato fin troppo oscuro.
L’assassino tende a spettacolarizzare e mettere in scena le morti, con il luogo del delitto che si trasforma più di una volta in un vero e proprio teatro da film horror, rifacendosi inoltre a citazioni bibliche dell’Apocalisse di Giovanni, comunemente conosciuta come Libro della Rivelazione.
Omicidi che sembrano essere annunciati proprio come i sette suoni di tromba, prendendo spunto dall’Apocalisse di Giovanni: uno dei testi da sempre giudicato di difficile interpretazione, diventa un fedele memoriale di flagellazione per l’assassino.
L’ambientazione di questo romanzo è molto suggestiva perché non si sviluppa solo nella città di Pavia ma anche sulle colline dell’Oltrepò, forse ci si poteva soffermare di più sulle bellezze dei paesaggi e questa può essere un’occasione che l’autore si è lasciato sfuggire.
Il romanzo rompe gli schemi da quello che è il solito giallo classico risultando così, avvincente; la caccia all’uomo tra le montagne dell’Appennino è veramente emozionante e da brivido, con una nevicata che dà fin troppi problemi agli inseguitori che non demordono e tengono duro portando l’investigatore a scoprire l’artefice di questi orrendi crimini.
Nella lettura di questo romanzo ho riflettuto su una cosa: chi commette dei delitti rimane pur sempre un assassino e questo è palese, ma a volte capita di imbattersi, proprio come nella storia narrata, in vittime di lungo corso che diventano essi stessi dei veri e propri carnefici, visto che si tratta di un tema di soprusi e violenze che hanno portato l’uomo a vendicarsi e a farsi giustizia da solo; e allora chiaramente come ho detto prima il delitto non è mai perdonato nella maniera più assoluta, ma spesso può accadere che il lettore possa farsi condizionare e diventare un innocentista.
Come ben sappiamo vittime di bullismo o di abusi sessuali si sono anche trasformati in mostri, questo non vuol dire che vadano giustificati ma bisogna essere a volte così lucidi e attenti da capirne le cause e gli effetti scatenanti: questo non ci deve far diventare a mio avviso né dei buonisti e neanche persone ciniche, ma i traumi risalenti all’infanzia non vanno mai sottovalutati e presi sotto gamba ma analizzati sempre se si è in grado di farlo, perché in fin dei conti a chi subisce violenze continue e per lungo tempo senza che esse vengano mai denunciate, rimangono ferite così profonde che non si rimarginano più ed ecco perché in alcuni di essi scatta il morboso desiderio di esercitare il potere sul più debole oppure volersi vendicare su chi in precedenza è stato il suo carnefice.
Ma la follia omicida può essere la scusa o il pretesto per uccidere? Assolutamente no, va fermata, ma bisogna riavvolgere il nastro ed andare dietro con il tempo e capire da dove nasce, perché circostanze come queste non si creano mai per caso.
Ecco come un romanzo giallo può sviluppare tematiche forti e di grande impatto, e la vicenda anche se particolarmente intrigante diventa un motivo valido per affrontare storie che fanno parte della quotidianità: il merito è tutto dell’autore che ci catapulta non in un testo già più volte scritto che alla lunga può cadere nel banale, ma in qualcosa che può far riflettere il lettore proprio come è capitato al sottoscritto, e questo gli va elegantemente riconosciuto.
Una risposta
grazie per la bella recensione. Mi fa particolarmente piacere che il tema di fondo sia stato così ben compreso. Quanto alle bellezze del territorio, ci ho pensato, naturalmente, ma, alla fine, ho preferito lasciarle sullo sfondo. Neve sporca è un romanzo di vuoti di assenze, di ombre. L’introduzione di elementi descrittivi avrebbe finito per colmare questi vuoti e compromettere l’atmosfera della narrazione. Terrò presente il tuo suggerimento per il prossimo capitolo delle avventure di Beo.