Recensione di Sara Patron
Lei si chiama Ludovica di nome, Castelli di cognome.
Quando si dice… COGnomen omen. Perché di castelli Ludovica ne fa uno dietro l’altro.
Li fa in aria, e li scrive su carta, mai sulla sabbia. Lei li scrive su un diario.
Un diario che contiene tutta la vita e tutti i battiti che il suo cuore ha battuto durante la sua vita; scrivendo ha permesso a quel cuore di battere ancora – anche ora che la sua vita è andata oltre – per sé e per tutte le persone a cui lei vuole bene: le amiche streghe, e anche quelle normali, la mamma, il papà, il fratello, e C., soprattutto C..
Di lei parlo al presente, perché parlo di un dono. Solo parlandone al presente posso creare memoria, e renderla eterna.
Se fumassi ancora, caro lettore, adesso mi fermerei un attimo e ti direi “Vuoi sapere cosa c’è dentro ognuno di quei battiti? Te lo dico dopo. Intanto fumiamoci una sigaretta”.
Trentenne, attrice teatrale, siciliana di nascita da qualche anno il suo cuore si è trasferito con lei e batte tra le vie e le piazze di Roma dove, tra un copione e l’altro da imparare a memoria, c’è una vita da imparare a vivere; ci sono errori da imparare a sbagliare; ci sono emozioni da imparare a respirare; c’è un acquario dove imparare a nuotare cioè una stanza dove dormire, fumare e scrivere.
Le cose della vita però, quelle non si possono imparare a memoria: perché inevitabilmente vivendo si cresce, e crescendo le cose non sempre si adattano a noi, o forse siamo noi che non ci adattiamo a loro. Quattro anni fa ho lasciato Catania. Sembra ieri, anzi oggi, e invece è già domani. Il tempo è fuori controllo, come la vita.
Ma Ludovica ha trovato il modo per fermarlo, il tempo. Ludovica il tempo lo ferma scrivendo: Sto scrivendo un libro. Sto cercando qualcosa. Sto seguendo degli indizi.
Segue quegli indizi che le permettono di chiudere cerchi, che poi su carta diventano capitoli, che sono l’uno conseguenza e continuazione dell’altro, ma che starebbero in piedi anche da soli, senza un nuovo capitolo a reggere tutti i precedenti, prima ancora della parola fine. Perché ognuno di essi è un battito d’ali di farfalla. Leggero, intenso, elegante, colorato, delicato e prezioso, come solo un’anima speciale può esserlo.
Quella di Ludovica è un’anima irrequieta, ma consapevole: sa infatti che per trovare pace ha bisogno di poter realizzare il suo sogno d’amore, e attraverso l’amore, esprimere il potenziale di ogni cellula del suo corpo. Lei sa che è nata per amare C.. Lo sa dal momento in cui incontra quei suoi occhi chiari che le entreranno nel cuore e da lì non se ne andranno più. Saranno la sua croce e la sua delizia, il suo tormento e la sua musica preferita, i suoi silenzi e le sue esclamazioni gioiose, le sue lacrime e le sue risate, ma soprattutto l’ispirazione di ogni riga del suo diario. E se non può viverlo, quell’amore, allora almeno lo immagina: perché l’immaginazione aiuta a creare, o a distruggere o distruggersi, ma comunque sia a sentirsi vivi. Immagina tanto Ludovica, talmente tanto che le righe del suo diario sembrano non poterla contenere tutta la sua immaginazione. E così tra una valigia che si apre e una che si chiude, un sorriso dato e uno ricevuto, un’amica che se ne va e una che viene, una sigaretta appena fumata e una da fumare, la vita di Ludovica si srotola tra le righe di un diario che lei riempie di racconti, aneddoti, voli pindarici, desideri, sogni, speranze, delusioni, rabbia, gioia, pienezza. Riempiendo con le sue parole, semplici e genuine, i contorni di una vita piena, e densa. Una vita che trova espressione, tra le righe di un cuore che riempiono i battiti delle pagine di un diario che poi diventa un libro. Una vita che le piace, e ci piace, proprio tanto! Una vita alla quale mi inchino e dico grazie; una vita a cui ho reso omaggio, a modo mio, scrivendo queste righe, a modo suo.