L’Uranio di Mussolini
Ragusa, 1934. Il commissario Vincenzo Ibla, investigatore all’apparenza indolente ma acuto osservatore, viene spedito sotto il sole di luglio alle cave di Spaccaforno: tra le rocce è stato rinvenuto un cadavere, ma è al confine di due giurisdizioni, e le rispettive questure sono già pronte a rimbalzarsi a vicenda la responsabilità delle indagini. Appena vede la salma, però, Ibla capisce che il caso è suo, perché la vittima è Vittorio Borgia, un suo vecchio compagno d’armi, ora miliziano fascista. Sembra un semplice omicidio passionale, ed è quindi con una certa sorpresa che il commissario apprende dell’imminente arrivo da Milano di un certo Franco Durante, un funzionario fascista che, pare, Mussolini in persona ha inviato a Ragusa per coadiuvarlo nella ricerca dell’assassino di Vittorio. Uomo del Nord tutto d’un pezzo, Durante segue con impazienza il lavoro di Ibla, che da parte sua ricambia con tutto il sospetto per un uomo di una cultura così lontana dalla Sicilia. Presto, però, i possibili moventi dietro l’omicidio di Vittorio raddoppiano e si ramificano verso mondi e intrighi sempre più oscuri e complessi, costringendo i due a proteggersi e sostenersi a vicenda, solo per scoprire che la combinazione delle loro peculiarità a prima vista incompatibili può rivelarsi la chiave per sciogliere l’enigma. Vittorio non è l’unico a nascondere una doppia vita, perché anche Durante ha i suoi segreti, e sono legati a filo doppio con il suo arrivo sull’isola: lo scienziato Enrico Fermi ha promesso a Mussolini un’arma straordinaria e terribile, ma per svilupparla ha bisogno di uranio, quello che il Duce ha in mente di estrarre in Ciad dopo averlo conquistato con la campagna d’Africa, per poi trasbordarlo in Italia.
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Questo romanzo è un atto temerario. Infatti la storia è ambientata nella “riserva di caccia” di uno scrittore ancora popolarissimo anche dopo la scomparsa: Andrea Camilleri. Sto parlando della provincia di Agrigento, dove l’autore colloca, riconoscibilissimamente anche se dietro lo schermo di un falso nome, le vicende della sua narrativa.

Grazie a una nutrita serie di best sellers, Camilleri ha fatto conoscere luoghi e cultura di quella parte d’Italia che sembra lontanissima, quasi appartenente ad un’altra nazione ma, in realtà, è a noi molto più vicina di quanto si creda, non foss’altro perché terra natale di uno degli intellettuali e scrittori italiani più importanti e “universali” del secolo scorso: Luigi Pirandello.

La temerarietà d “L’Uranio di Mussolini” è accentuata dal fatto che, come la produzione più conosciuta ed amata di Camilleri, il ciclo di Montalbano, si tratta di un poliziesco in cui uno degli investigatori , il Commissario Vincenzo Ibla, è un prodotto tipico della cultura locale inevitabilmente affine, per molti tratti psicologici, pur se assai diverso fisicamente da lui,  a Salvo Montalbano.

Se possiamo considerare vinta la scommessa da parte di Franco Forte e Vincenzo Vizzini, non è tanto per l’ambientazione negli anni trenta, in pieno fascismo, della loro storia ( anche Camilleri ci ha abituato ad escursioni in quel periodo al di fuori del ciclo di Montalbano, forse anche più riuscite di quelle di quest’ultimo) e nemmeno per l’uso del dialetto rigorosamente soltanto nei dialoghi quando indispensabile, mentre tutti sanno che Camilleri ricorre addirittura ad un impasto linguistico in cui l’italiano si mescola al siciliano agrigentino: la scrittura di Forte e Vizzini, di altissima qualità e certamente non inferiore come resa stilistica a quella di Camilleri, non sarebbe sufficiente, di per sé, a dissipare la sensazione di de ja vu che un giallo immerso nell’atmosfera agrigentina è destinato a suscitare.

Non vale neanche, come fattore di smarcamento dall’ingombrante modello, la venatura “sponistica” che il titolo suggerisce, ovvero il rimando a intrighi, che avrebbero coinvolto  il Duce,  circa l’uso dell’elemento chimico più legato all’energia atomica.

Questi intrighi, infatti, nel romanzo ci sono, ma hanno un ruolo marginale che forse potrebbe essere sviluppato in un sequel, meritevole da essere considerato.

Il punti di forza de “L’Uranio di Mussolini” sono altri due.

Innanzitutto il confronto, molto stimolante, tra  cultura siciliana e cultura “nordista”, rappresentato dal continuo conflitto dialettico tra il Commissario Ibla, “Montalbano” degli anni trenta, e Franco Durante, funzionario di Partito milanese inviato in missione investigativa speciale in Sicilia.

I duetti tra i due sono una miniera di spunti per riflessioni più ampie.

Poi, il romanzo si segnala per la galleria di personaggi minori, tutti interessanti e caratterizzanti con sapienza.

Se segnaliamo due: la sorella del Commissario Ibla, Rosetta, che meriterebbe il titolo di copotagronista, per il rilievo che assume nella trama e lo spessore psicologico.

Poi ‘mpa Ciccio, il cestaio, una figura che sembra uscita da una novella di Pirandello.

Segnaliamo, infine, quello che a un lettore di gialli ( ma il romanzo non si rivolge solo a questo pubblico) potrà apparire come un difetto, : la lunghezza del testo, laddove un “giallo di indagine”, qual è l’Uranio di Mussolini”, in cui si raggiunge la soluzione attraverso il percorso dell’inchiesta, e non attraverso folgorazioni logiche presenti fin dall’inizio, non dovrebbe prolungarsi troppo, come insegna lo stesso Camilleri, i cui gialli di indagine hanno, opportunamente, una misura più breve.

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