L’ufficio degli affati occulti
Un bambino corre, a piedi nudi, nella notte. Corre senza meta nelle viuzze buie e strette della Parigi cenciosa che festeggia l’ascesa al trono di Luigi Filippo. Il suo cuore è un tamburo impazzito. La mente, occupata da un solo pensiero: sfuggire agli artigli del Vicario, che è lì da qualche parte, nell’oscurità, pronto a dargli la caccia tutta la notte. In un vicoletto, il bambino scorge un coccio di bottiglia tra le immondizie. Lo afferra per tagliare il tendone più vicino. Un taglio discreto, giusto per entrare. Una volta dentro, lo accolgono visi da incubo, emersi dal nulla, in un terrificante labirinto di specchi da cui è impossibile uscire… Dall’altra parte della città, in uno dei quartieri ricchi della capitale, nella residenza di Charles-Marie Dauvergne, deputato alla Camera di fresca nomina, si festeggia il fidanzamento di Lucien Dauvergne con la figlia di un industriale normanno. Lucien è un giovane frivolo, un dandy elegante e bohémien. Nel corso della serata, sale al piano superiore della casa e scompare letteralmente dalla festa. Temendo un capriccio del suo incorreggibile rampollo, Madame Dauvergne si avventura anche lei al primo piano, e vede il figlio inginocchiato dinanzi a un grande specchio di Venezia con la cornice dorata. Il giovane si alza, abbozza un saluto, poi avanza con passo risoluto verso la finestra e si getta serenamente nel vuoto. L’inchiesta su una tragica, illogica morte del figlio di un personaggio illustre suscita sempre non pochi timori nelle alte sfere del potere. Alla Süreté viene perciò convocato e istruito in tutta fretta Valentin Verne, giovane ispettore della Buon costume, il servizio di protezione della morale. A Valentin, che sotto la sua apparenza eterea cela una durezza, una determinazione tagliente quanto il filo di una lama, non resta che accettare il nuovo incarico, anche se comporta, per il momento, la rinuncia a venire in aiuto di Damien, un orfano indifeso caduto nelle grinfie del mostro che si fa chiamare il Vicario.
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Recensione a cura di Marianna Di Felice

Un romanzo scritto su una base storica e scientifica realmente avvenuta che mostra una Parigi della prima metà dell’Ottocento. Caotica, ricca da una parte, molto povera dall’altra, con la rivoluzione ancora nelle menti, attraverso la quale si creavano due fazioni. Quella dove raccoglievano consensi i contrari al regime monarchico e quella dove c’erano coloro a favore del monarca dal quale traevano molti vantaggi come ritrovarsi in Parlamento come un Pari di Francia. Così ci si ritrovava davanti a Visconti, Duchi che godevano di molti privilegi, quasi intoccabili di fronte alla legge. In questa Parigi Valentin Verne ispettore del secondo ufficio della prima divisione della prefettura di polizia insegue il suo incubo, il Vicario! Un personaggio subdolo, vigliacco, sadico che prendeva di mira bambini non voluti, bambini persi, bambini che popolavano le strade di Parigi, bambini che se sparivano non avevano nessuna voce che urlasse per cercarli. Valentin stava proseguendo il lavoro di suo padre, che per sette lunghi anni aveva cercato di prendere il viscido Vicario. Ma era fin troppo viscido tanto da fuggire sempre, tanto da essere una spanna avanti agli altri. Valentin era alla Buon Costume, servizio di protezione della morale quella che dovrebbe mantenersi vivida in ogni essere umano perché dal momento che si perde si può cadere nell’ambiguità esplicita che si poteva osservare nelle strade parigine. Credo che l’800 abbia svelato la perdita di morale un po’ ovunque in Europa. In questo libro si parla di Parigi, ma una situazione simile si trova anche a Londra come a Vienna. Sicuramente non sono comportamenti nati in quel secolo, ma esplosi soprattutto in quel secolo! In questo particolare clima dove degli efebi vendevano il loro corpo ad amanti affamati, Valentin che era dietro le nefandezze di quel mondo fu spostato alla Sûreté per far luce su un caso delicato. Tra le altre cose sia la Buon Costume che la Sûreté non godevano di fama tra chi sapeva quanti corrotti ci fossero al loro interno. Il caso che fu affidato a Verne era lo strano suicidio del figlio di Dauvergne Deputato alla Camera. Da questo momento in poi si innesca una serie di fatti che sulla base di avvenimenti storici e scientifici fanno avanzare la storia. L’autore è bravissimo nel coinvolgere il lettore e lo intrappola ancor di più tra le pagine del suo libro quando tra i vari capitoli inserisce la storia di Damien, tratta dal suo diario nel quale spiega cosa ha dovuto passare per anni. Il romanzo dipana la trama mano a mano facendo incontrare a Valentin molti personaggi positivi e negativi, facendogli conoscere un gruppo segreto repubblicano decisamente pericoloso, anche se capirà ancor di più la pericolosità di un personaggio alla fine. Portandolo a contatto con una scienza nuova, l’ipnosi chiamata così da James Braid, scienziato scozzese, che rifiutava la teoria del fluido magnetico e che per primo inventò il termine ipnotismo. Ma Valentin si ritrovò davanti allo sfruttamento di una scienza per scopi tutt’altro che benefici! Praticamente si ritrovò in un disegno più grande di lui, dove era stata tracciata la sua fine. Scene rocambolesche si insinuano nella mente del lettore, insieme a perfide e sadiche scene occulte. Con esse la storia di Damien che crea il colpo di scena finale, che commuove e sensibilizza. Tra specchi malefici, segni di insoddisfazione e voglia di rivolta verso il Re, tra sensi di colpa e incubi, Valentin dovrà arrivare alla verità e alla cattura del suo nemico numero uno. Questo romanzo è denso di significato, di storia e di scienza, praticamente è un racconto dello svolgersi della vita dell’epoca che poteva essere permeata da oscuri piani ideati da persone infime solo per soddisfare i loro piaceri. Non credo che la storia sia cambiata di molto nell’era contemporanea!

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