Tutto inizia in una nevosa giornata. Diverse coppie stanno raggiungendo un hotel per trascorrerci il loro week end invernale: in questa “due giorni” ognuno ripone delle aspettative molto forti. Si scopre che la meta è la stessa, sono tutti ospiti dello stesso albergo: il Mitchell’s Inn Hotel. Saranno, a dire il vero, gli unici ospiti della struttura: la tempesta di neve ha annullato le altre prenotazioni. A seguire i nuovi arrivati ci sono i proprietari, padre e figlio.
Partono i primi intrecci amorosi, le prime sensazioni a pelle tra gli ospiti. I primi fili iniziano ad intrecciarsi, creando una lettura piena di suspence. Non c’è bisogno di aspettare: una strana sensazione aleggia nell’aria sin dalle prime battute.
Succede poi che una delle ospiti viene trovata morta. Si sospetta un suicidio, poi si passa all’omicidio. E’ plausibile pensare che sia stato il marito, Matthew. A questo punto la storia si tinge di orrore psicologico: si diffonde una sensazione di inquietudine e sospetto che non ci abbandonerà fino alla fine del libro. E’ sconvolgente pensare che una donna resti lì, coperta da un lenzuolo, per non intaccare la scena del crimine, mentre gli ospiti continuano la loro vita nell’albergo, come se quel corpo diventasse parte dell’arredo. Non c’è disperazione, non viene fuori. Viene da pensare a come ci saremmo comportati noi, con un cadavere in hotel e pochi sospettati intorno. Io, probabilmente, mi sarei chiusa in camera fino alla fine delle vacanza, visto che la neve mi avrebbe impedito di scappare. A peggiorare il tutto c’è l’assenza di elettricità e di rete internet. A questo si aggiungono altri fatti, altrettanto raccapriccianti, che diventano quasi prevedibili, collezionabili, sempre senza una reale e forte implicazione sulla scena del crimine. Forse non è il suicidio/omicidio il cuore del problema. E’ un vero e proprio esperimento sociale. Consiste nel mettere insieme delle coppie tra loro “sconosciute” e pressarle con un evento forte che ne sconvolga le aspettative reali ed i deboli equilibri esistenti: la coppia, nelle sue varie sfumature, diventa labile, non si fa fatica a mettere in discussione anche le persone delle quali ci si fida, ci si sente autorizzati ad avviare le accuse, a trovare conferme a semplici ipotesi, a definire un capro espiatorio che salvi i “restanti” dai propri peccati. Vengono fuori i macigni personali, galoppa l’invidia, si scava nel dolore di ognuno per ficcarci dentro un possibile profilo di assassino. Le donne danno il peggio di sé nella maggior parte dei casi. Si snaturano le relazioni, tutti sono contro tutti. Applauso a David, l’avvocato, per essere partito solo e macchiato dal suo vissuto, ed aver avuto la determinazione di gestire le cose con dignità: non si sa se le accuse su di lui siano vere e false, l’autore non lo spiega, ma l’audacia vince sempre e premia chi ne ha. Resta un essere pensante e lucido, nonostante l’orrore. Il suo intuito affascina. La sua risolutezza crea quasi protezione. E’ il trionfo dell’individualismo moderno, che a volte resta l’unico mezzo per non scadere in relazioni difficile da costruire e da mantenere, che ci costringe a sentirci all’altezza, a costo di rinunciare alla nostra vera natura. Una carezza va a Gwen, piccola ed indifesa: nonostante tutto resta la più buona della situazione. Non a caso alla fine David le sottolineerà la loro unicità rispetto al contesto.
Il macabro risiede anche nell’attesa che torni la normalità, che ripristinino le comunicazioni. Arriva la risposta, si svela anche in maniera celere. Basta un dettaglio per mettere a posto i tasselli. Viene da chiedersi quanto sia dura la verità. Quanto sia difficile ammettersi per quello che si è, per paura del rifiuto, della solitudine. Niente però sarà più come prima. Ma quale “prima”, in fondo? Un prima costruito su menzogne e passati oscuri, un’assenza di sincerità che ci fa mettere in discussione il presente, il passato ed, ovviamente, il futuro. Cosa nascondiamo a noi stessi e agli altri? Cosa non avremmo mai il coraggio di raccontare di noi? Sono le domande che la lettura porta a farci. Siamo tutti un po’ colpevoli, in fondo.