Recensione a cura di Manuela Baldi
Luca Wu, trentaquattro anni, vicequestore aggiunto, è un uomo sempre in bilico fra due culture, perfino il nome è a metà. È nato in Italia da genitori cinesi, è italiano, è cinese, è poliziotto, è sposato, è padre, è figlio, è nipote. Ama la moglie Anna ma la tradisce, ha fortemente voluto un figlio, Giacomo, ma lo trascura. Non è mai completamente a proprio agio in nessun luogo e in nessuna veste. “L’impero di mezzo” è la seconda indagine che ci regala Andrea Cotti con protagonista Wu e questa volta la vicenda si svolge in Cina. Per Luca Wu dovrebbe essere una vacanza con i nonni, nonno Li Dingfu, detto Forte Li e nonna Li Meyu, Bellissima Li, suoi riferimenti, le persone alle quali sente di essere più legato. Appena arrivato in Cina però, viene coinvolto in un’indagine sulla morte di un cittadino italiano, Carlo Grande, un imprenditore molto conosciuto. Wu viene ammesso come osservatore dalla polizia cinese, portato sul luogo dell’incidente, conosce tre poliziotti, due uomini e una donna, Zhu, Tong, Yieng. Subito gli viene specificato che non potrà indagare solo osservare, ma non sarebbe Wu se si limitasse a osservare. I poliziotti cinesi vedono Wu come uno straniero, un laowai e non sono contenti di averlo fra i piedi, inoltre i rapporti all’interno della polizia cinese sono complessi: … “La Yien spiega Tong, dirige l’indagine. Lui è il suo superiore e dirige lei. Il vicecommissario generale Zhu dirige tutto.” Non senza difficoltà Wu inizia la collaborazione, affianca Yien Bao Yi, supervisore superiore, giovane e molto capace. L’indagine è complessa e sarà proprio Wu che smonterà la tesi investigativa iniziale, facendosi aiutare dai “suoi” in Italia. A fare da sfondo a un indagine che parte dall’ipotesi di un incidente, una Cina piena di contraddizioni, tradizionale e proiettata nel futuro. Ipertecnologica e arretrata, comunista ma fortemente liberista negli affari, nella quale le relazioni, i legami sono importanti, guanxi: l’arte di stabilire rapporti, fare e ricevere favori, creare una rete di amicizie utili che durerà tutta la vita, una sorta di seconda famiglia che va a sovrapporsi a quella naturale e con la quale si è in connessione per sempre. Questa è la Cina con cui fare i conti. Andrea Cotti fa raccontare a Wu, in prima persona, una bella indagine con colpi di scena e varie ipotesi investigative. Come accade in un buon noir, che è soprattutto racconto sociale, è quello che gira attorno all’indagine che coinvolge e interessa. È uno spaccato di vita e di vite che attrae e respinge. Mi piace particolarmente come Cotti descrive l’inadeguatezza che prova Luca Wu, il suo sentirsi fuori posto, altro, rispetto al posto in cui si trova. Trovo che siano molto ben rappresentati i sentimenti, le sensazioni che prova chi cresce a cavallo tra due culture e non vuole scegliere ma proprio per questo è in perenne difficoltà. Per Wu sono tanti i rapporti non chiariti, quello con il padre, con la moglie. Perfino nel suo essere padre c’è qualcosa che non va bene. Come gli scrive in un messaggio su WeChat, sua moglie Anna: … “Però tu sei grande lui è piccolo tu sei un adulto, Giacomo è un bambino. Pensaci Wu e pensa a cosa si merita tuo figlio. Si merita un padre. Bravo.”
Wu si fa prendere dalle indagini, è un poliziotto capace e non ha paura di indagare, quando serve mena le mani, fin da piccolo suo padre gli ha insegnato le arti marziali. In una corsa in giro per la Cina, assieme a Yien, la poliziotta incaricata delle indagini, Luca conoscerà la Cina che corre in avanti ma che è ancorata alle sue tradizioni. Niente è mai come sembra. Altra cosa che apprezzo particolarmente nel libro di Cotti è di aver fatto diventare Carmelo Pecora, scrispettore, un personaggio del libro (dei libri, perché Pecora è in entrambi). Pecora è il solo amico che Wu ha, pronto ad aiutarlo professionalmente, ma anche a non approvare ciò che fa. Infine una piccola critica, la conclusione del libro è crudele verso chi legge. Sono un po’ arrabbiata con Andrea Cotti, non dico di più, capirete leggendo.
Consiglio la lettura perché è un libro ben scritto, perché l’indagine è interessante ma soprattutto perché presi per mano da Luca Wu, conosciamo un mondo lontano e per molti versi fantastico, nel quale tradizione e modernità cercano costantemente il loro equilibrio. Ovviamente lo consiglio a chi avesse letto il primo, “Il Cinese”, sempre edito da Rizzoli. Preciso che si può leggere anche solo il secondo, le due indagini sono indipendenti e la vicenda umana di Luca Wu ha comunque spiegazioni che consentono di capire anche senza aver letto il primo.