Ci sono romanzi che profumano meravigliosamente di noir e rimandano alle atmosfere di maestri del calibro di Raymond Chandler e Dashiell Hammett pur calandosi con efficacia in contesti sociali e ambientali attuali e offrendo una rilettura fresca e innovativa del genere. È, questo, il caso de L’essenza della colpa, il nuovo episodio della serie dedicata a Michele Astengo, il private eye genovese che sicuramente non ha nulla da invidiare a molti celebrati colleghi del cinema e della narrativa hard boiled.
Di profumi e aromi indubbiamente bisogna continuare a parlare, visto che l’indagine di Astengo si addentra tra le pieghe e i segreti di una dinastia di produttori del settore, portando alla luce rancori, debolezze, collusioni e altri inconfessabili segreti. Figura centrale del colosso industriale è l’anziano patriarca Arcangelo, vero modello di arcigno self-made man, che incarica Astengo di trovare la verità sulla strana morte del figlio Enrico, erede designato alla guida dell’industria. Ne nasce una sorta di viaggio all’interno (e nell’inferno) di dinamiche familiari e aziendali sfaccettate e potenzialmente letali, cui si affiancano manovre finanziarie non limpidissime. Come in un gioco di specchi, però, il procedere dell’inchiesta verso la soluzione induce Astengo a scandagliare progressivamente anche dentro di sé, misurandosi con le cicatrici del passato e le debolezze del proprio presente, di cui è emblema il rapporto irrisolto, negato eppure vivo con la collaboratrice Dalia.
Andrea Novelli e Gianpaolo Zarini, coppia collaudatissima, con L’essenza della colpa confezionano un romanzo fresco, intelligente, che appassiona, diverte e fa riflettere. Merito di una scrittura ritmata, brillante, soffusa di pungente ironia, posta al servizio di una trama efficace e sempre credibile. Attraverso tratti essenziali, personaggi anche secondari acquisiscono profondità e plasticità e, su tutti, spicca proprio lui, Michele Astengo, il protagonista. Con le sue ossessioni, il carattere spigoloso, l’umanità ruvida ma profonda, protetta (talvolta, forse, soffocata) da una corazza di disincanto così resistente da rasentare la cherofobia, Michele incarna in qualche misura lo spirito di Genova e dei suoi abitanti. La città, dal canto suo, risulta proscenio sempre vivo e vitale, che si materializza attraverso squarci vividi senza degradarsi mai a fondale posticcio, secondo la migliore tradizione del noir mediterraneo, rispettata anche quando l’azione si sposta in altri luoghi.
Trama solida, personaggi riusciti, dialoghi ficcanti e un’ambientazione che pulsa all’unisono con la storia: gli ingredienti per il noir di qualità ci sono tutti, perfettamente amalgamati. Al lettore non resta che apprezzarne ogni sfumatura, proprio come si degusterebbe un buon whisky: senza fretta, traendone il massimo del piacere.