La Sanità rappresenta il cuore autentico della città di Napoli. In quei vicoli circondati da chiese barocche, palazzi appartenenti a famiglie nobiliari e case in rovina, sono racchiuse tante storie di vita vissuta. Padre Raffaele è tornato nei luoghi dove ha trascorso la sua infanzia e ha ritrovato suo fratello Peppino, boss della malavita organizzata che gestisce il suo territorio.
Dopo il romanzo Questioni di sangue, torna Anna Vera Viva con un nuovo noir edito Garzanti dal titolo L’artiglio del tempo.
Padre Raffaele e la sua perpetua Assuntina sono coinvolti in una storia dalle radici lontane, che scava in un passato che torna a colpire inesorabilmente travolgendo e decidendo per sempre i destini di gente innocente.
Proprio quel che è accaduto a Davide, Myriam e al piccolo Antonino che scopre il cadavere del suo anziano padre Samuele riverso a terra nel suo negozio di cappelli.
Sembra trattarsi di morte naturale avvenuta a causa di un drammatico incidente, sembra essere la dinamica più probabile, ma non per l’acuto Antonino che Padre Raffaele a interessarsi della morte del suo anziano genitore.
Infatti sulla scena del crimine ci sono degli elementi che destano più di un sospetto a far pensare che si tratti di tutt’altro, di un vero e proprio omicidio.
Chi voleva colpire il vecchio Samuele? Il venditore di cappelli era un uomo sopravvissuto ai campi di concentramento e che voleva dimenticare un orribile passato, ma a distanza di tempo è tornato ad aleggiare il fantasma del suo nemico e materializzatosi dal nulla ha voluto decidere per sempre il suo destino.
Ma quei ragazzi hanno tutto il diritto di scoprire la verità sulla triste fine del loro padre, Antonino in particolare freme dalla voglia di sapere e di confrontarsi con un mistero che giganteggia per i vicoli del tempo che si porta con sé gli strascichi di una guerra che ha seminato distruzione e morte.
L’autrice ci riporta in una Napoli durante il periodo della seconda guerra Mondiale che venne travolta dai bombardamenti angloamericani, dall’occupazione nazista e dall’insperata liberazione grazie all’arrivo degli Alleati, infatti nel romanzo ci saranno dei capitoli dedicati ai terribili momenti vissuti da Samuele Serravalle, ebreo in fuga, che ha vissuto in prima persona lo sterminio di Auschwitz.
Quando padre Raffaele chiamerà s raccolta un centinaio di scolari per una serie di incontri che vedranno l’Olocausto come tema portante, non sfuggirà una frase emblematica e al tempo stesso penetrante di un bambino che affermerà: Il mio amico Sam mi ha detto che in quel posto Dio non c’era.
Con L’artiglio del tempo, Anna Vera Viva firma un altro noir magistrale, riconfermando le sue spiccate doti di narratrice che riesce a sviluppare una trama avvalendosi di una fedele ricostruzione storica che si mescola con il giallo.
Con precisione da incisività e spessore a tutti i personaggi della storia, soprattutto all’indissolubile legame di due fratelli come Padre Raffaele e il boss don Peppino che hanno scelto due strade opposte.
Come nel precedente romanzo, ho apprezzato il ruolo della perpetua Assuntina, con quella sana voglia di incuriosirsi di vicende oscure e che vuole aiutare Padre Raffaele, a costo di mettere in gioco la propria vita.
Delizioso il legame che si instaura tra il prete e il piccolo Antonino, un rapporto che splende nella sua autenticità più profonda.
Infine c’è la vittima, quel Samuele Serravalle, un uomo che ha portato con sé per tutta la vita, il pesante fardello della sofferenza e dell’ingiustizia. La pace la troverà per sempre nel suo eterno riposo, quando gli occhi si potranno chiudere per davvero e abbandonare il triste ricordo.
L’autrice ha maneggiato con cura una tematica di grande impatto emotivo che resterà per sempre scolpita nella nostra memoria, vorrei concludere riportando delle frasi significative del romanzo:
Fotografie. Quelle che Raffaele stava raccogliendo erano delle istantanee. Immagini di guerra. Incominciò ad appenderle sulla bacheca immaginaria. C’era quella di una Napoli ferita e sventrata, quella di due amichetti di banco costretti a separarsi per le leggi razziali, quella di una bella fabbrica di guanti mai restituita, quella di un bambino passato all’alba da un balcone, quella di due professori vissuti nel senso di colpa, quella di un paesino che aveva deciso di fare di testa sua, e poi un cavalluccio di legno abbandonato e un libro fitto fitto di nomi. Fotografie che ricostruivano in un modo disordinato ma vivido un’epoca terribile. Che raccontavano il mondo nel quale si era mosso Samuele, ma nulla gli dicevano sul motivo per cui qualcuno potesse desiderare la sua morte. Avrebbe continuato comunque a raccogliere quelle testimonianze. Magari c’era qualcosa non riusciva ancora a vedere. Però voleva concentrarsi su quelli che finora avevano catalogato come indizi. L’allarme, per esempio, quello che avrebbe usare Samuele per chiedere aiuto. Non ne aveva mai parlato né con Davide né con Antonino.
Agli amanti del genere noir non posso che augurare un’ottima lettura.