La venere di Taskent
Unione Sovietica, 1967. Una telefonata alle prime ore del mattino sveglia il commissario Kovalenko: il corpo senza vita di una giovane donna è stato ritrovato sotto un cumulo di neve. La vittima è Anastasija Timokina, affascinante e ambiziosa attrice uzbeka trasferitasi a Mosca per fare carriera. Le indagini si concentrano subito su alcuni personaggi che ruotano intorno al Teatro Taganka, in cui la ragazza si esibiva. Il direttore, Valerij Lebedev, sospettato di dissidenza dal regime, è da tempo tenuto sotto controllo dagli organi preposti; lo scontroso amministratore Platon Sobolev svolge irreprensibile il proprio lavoro; il critico Volodja Miller non sembra condurre la vita del tipico intellettuale. Tutti e tre hanno avuto una relazione con Anastasija, e tutti e tre hanno qualcosa da nascondere. Al commissario Kovalenko spetta il compito di ricostruire la verità, cercando di orientarsi tra quinte, fondali, maschere e false identità. Voce di Vienna Rao [bandcamp width=100% height=120 track=4140340022 size=large bgcol=ffffff linkcol=0687f5 tracklist=false artwork=small]
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Esordio di tutto rispetto quello di Leonardo Fredduzzi che con il suo giallo “La venere di Taskent” ci catapulta nella Russia del 1967.

Il personaggio principale è il commissario Kovalenko chiamato in causa per indagare sulla morte di un’avvenente attrice uzbeka, approdata a Mosca per realizzare un sogno, forse andato in frantumi troppo presto. Una vita sotto i suoi standard e quei lussi che non si poteva permettere e forse si concedeva, grazie ai corteggiatori cui faceva perdere la testa.

Troppi uomini per Anastasija Timoskina e uno solo è l’assassino che l’ha abbandonata sotto un cumulo di neve, quel corpo pieno di grazia e bellezza naturale e così spontanea.

Anastasija era una ragazza ambiziosa ma aveva preso una strada sbagliata, il teatro Taganka in una Mosca decadente, è il luogo attorno cui ruota questo giallo, abilmente costruito, e l’autore ha nel suo DNA la Russia, visto che lavora all’Istituto di cultura e lingua russa di Roma.

Una scrittura alquanto scorrevole valorizza una trama che gode di quella suspence che il genere richiede e il lettore apprezza.

Gialli ambientati in Unione Sovietica se ne leggono pochi, forse ricordiamo con grande piacere il film Gorky Park interpretato da un eccellente William Hurt, ma Fredduzzi è abile nel farci riscoprire qualcosa che forse agli occhi del lettore è raro e insolito.

Così questo romanzo è una lieta sorpresa, confezionato con cura maniacale,ambientato  in un periodo che ha lasciato alle spalle gli anni della Rivoluzione Russa, dall’epoca staliniana a quella di Krushev, per finire con gli anni di quiete dopo la tempesta appartenenti all’insediamento di Breznev.

Se dovessi fare un accostamento, il Kovalenko di Fredduzzi assomiglia al Maigret di Simenon, un matrimonio davvero felice e ben riuscito, unica ombra, la delusione per non aver avuto figli.

Ritengo verosimile la somiglianza tra Kovalenko a Maigret. Poi starà a Fredduzzi dare continuità alle avventure di  questo commissario di polizia e, almeno in questo suo esordio, si è preso il lusso (meritato, mi permetto di aggiungere) di farcelo ricordare e noi il personaggio di Simenon lo riscopriamo volentieri anche a costo di fargli cambiare nazionalità e portarlo niente di meno che in Unione Sovietica, a noi lettori starebbe bene anche così.

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