La paziente silenziosa
Alicia Berenson sembra avere una vita perfetta: è un’artista di successo, ha sposato un noto fotografo di moda e abita in uno dei quartieri più esclusivi di Londra. Poi, una sera, quando suo marito Gabriel torna a casa dal lavoro, Alicia gli spara cinque volte in faccia freddandolo. Da quel momento, detenuta in un ospedale psichiatrico, Alicia si chiude in un mutismo impenetrabile, rifiutandosi di fornire qualsiasi spiegazione. Oltre ai tabloid e ai telegiornali, a interessarsi alla «paziente silenziosa» è anche Theo Faber, psicologo criminale sicuro di poterla aiutare a svelare il mistero di quella notte. E mentre a poco a poco la donna ricomincia a parlare, il disegno che affiora trascina il medico in un gioco subdolo e manipolatorio.
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Prima di cominciare a scrivere di questo notevole romanzo di Alex Michaelides, mi sento obbligato a riconoscere il merito di avermi fatto conoscere questo autore cipriota ad un autore italiano, sardo, autore di noir e thriller: Piergiorgio Pulixi. E senza voler enfatizzare più del dovuto le doti di Pulixi che abbiamo potuto conoscere attraverso quanto da lui scritto, possiamo tranquillamente dire che non poteva essere che lui a suggerire una lettura avvincente, che non ti fa prender fiato,  dalla prima alla trecentoquarentesima pagina. L’ ambientazione londinese ci porta subito verso la psicanalisi e con Freud. Il tutto scaturisce da quanto si svolge nella vita di una coppia di affermati artisti, lei pittrice, lui fotografo, Tutto normale, a parte il fatto che Gabriel, il fotografo di successo, una sera rientra a casa dal lavoro e la moglie gli spara in faccia uccidendolo. Da quel momento, e sul fatto che lei abbia ammazzato il marito non c’è il minimo dubbio Alicia cessa di parlare, non tanto rispetto alle indagini, ma nel vero senso della parola: un mutismo che niente e nessuno riesce a sbloccare. Non è in grado di parlare. Sul fatto che lei abbia ammazzato il marito non c’è il minimo dubbio, sul perché cala un pesante mistero .Come del resto è un mistero il mutismo che contraddistingue il modo di essere di Alicia, un mutismo che rafforza il renderla colpevole, visto che gli innocenti parlano, si difendono, un mutismo che è affatto segnale di pentimento. Una, forse, banale tragedia si trasforma in un enigma di difficile soluzione. Le ipotesi si accavallano: dalla ribellione rispetto a violenze subite; al gioco erotico finito male; alla gelosia. Di fronte a tutto questo Alicia, condannata per infermità mentale, non può che  proseguire la propria esistenza in un ospedale psichiatrico giudiziario. Qui entra in ballo la figura dello psicologo Theo. Uno strano psicologo, che di fatto lo è per aiutare se stesso; che ha subìto la violenza del padre; che, in definitiva, ha bisogno di aiuto. Uno psicologo che da una stretta di mano risale alla personalità di chi si trova di fronte. Molto significativa la descrizione dell’ospedale psichiatrico giudiziario e di tutte le attività che vi svolgono: dall’uso della  psicoterapia per migliorare la vita; alla stanza delle terapie che è peggio di una cella carceraria; alla sala ricreativa; all’arteterapia per stimolare i pazienti non solo a disegnare e dipingere ma a farli parlare della loro stessa capacità artistica. “ L’incontro di comunità “. Theo che si rivela uno psicologo aperto che considera la malattia mentale come un luogo in cui i pazienti si ritirano. Theo ha un obiettivo; si pone un obiettivo: curare Alicia, divenuta invisibile; Theo che conosce, attraverso il direttore, Diomedes, la musica come strumento terapeutico e che capisce che la malattia mentale sta nell’assenza di equilibrio tra il buono ed il cattivo e che la necessità di guadagnarsi la fiducia è elemento fondamentale. Theo che usa ancora metodi ormai pressoché superati, come ad esempio lo scrivere per poter poi formulare un’opinione e che non può fare a meno di tenere in considerazione il fatto che la furia omicida, la rabbia, potente vettore di comunicazione assassina non può essere un fattore estemporaneo ma che invece deve provenire da qualcosa di rimosso; che il disagio mentale si riconosce dal comportamento fisico, dalle parole, dalla luce degli occhi. Uno psicologo che di fatto si trasforma in investigatore. Significativa, e quindi degna di essere riportata, la definizione che viene fatta di Alicia: “ una sirena muta che richiama verso gli scogli in cui si infrange l’ambizione terapeutica “. Il richiamo alla mitologia greca ha un suo perché nei dipinti di Alicia, in ciò che significa  Alcesti. Leggere questo libro non può non riportarci alla mente lo stupendo film “ Qualcuno volò sul nido del cuculo “ con il mutismo del paziente/indiano/gigante ma anche le battaglie sostenute in Italia da Basaglia e da tutta l’antipsichiatria contro la legge 180 e per l’abolizione dei manicomi, per affrontare la follia, contenerla invece di rinchiuderla anche e soprattutto si ha di fronte soggetti “ borderline “ che hanno sbalzi di umore, paranoia, delirii ecc..  Comunque quando  stai per concludere la lettura ed ancora non ti rendi conto cosa altro può accadere, che ti trovi di fronte all’inaspettato. L’esito sorprendente è il coronamento di una lettura avvincente che ti coinvolge a tal punto da terminarla nel giro di una giornata.

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