LA LEGGENDA DI MARINELLA. – Simone Pavanelli
Polesine. All’interno di una barca incagliata sulla riva del Po, un anziano scorge il corpicino senza vita di un neonato di tre mesi. Allertati i Carabinieri, il primo ad arrivare sul posto è il maresciallo Vito Cupertino che è il comandante della stazione di Canaro in provincia di Rovigo. Il sottufficiale si trova così ad affrontare qualcosa di oscuro che si nasconde nella nebbia padana tra i canali e le campagne del Polesine. Solo lui riuscirà a capire il nesso tra la morte del bambino e quella di una donna trovata bruciata all’interno di una macchina rubata in un altro paese. Un caso archiviato come suicidio da un pubblico ministero troppo sbrigativo. Un’aura mistica copre tutta l’indagine che sembra ballare su un’antica leggenda, quella di Marinella.
Le streghe danzano nelle nebbie del Polesine

Recensione a cura di Manuela Fontenova

Se è vero che “Il buongiorno si vede dal mattino” il titolo del nuovo romanzo di Simone Pavanelli basta a far pregustare una lettura che difficilmente si farà dimenticare: una leggenda, streghe che danzano nella nebbia…

 Due misteriosi omicidi, una terra che nei secoli passati, per circa duecento anni, fu la sede di uno tra i più temibili Tribunali dell’Inquisizione. Le “Segnaresse” le chiamavano nel rodigino, “Masche nel piemontese. Poteva cambiare il nome ma non la sostanza, erano streghe, donne accusate di crimini contro la natura, contro Dio, quasi sempre per nuocere ad altri. Oggi sono disponibili resoconti, atti processuali, testi che all’epoca erano manuali da seguire per lo svolgimento delle indagini: primo tra tutti il Malleus Maleficarum, un po’ la “Bibbia” dell’inquisitore. Cosa è rimasto nel tempo delle antiche credenze popolari? Storie, leggende, racconti… ma chissà se nelle zone più recondite delle nostre regioni si agiti ancora l’essenza di quelle creature spirate tra atroci sofferenze e l’eco feroce di chi volle punirle?

Sono questi i luoghi che l’autore sceglie per raccontarci la sua di storia: il Polesine e un piccolo paese nebbioso e umido, Canaro. Poche anime, una vita semplice, una comunità che si conosce da sempre. Nel commissariato locale però il maresciallo Vito Cupertino, pugliese da anni trapiantato al nord, non sa che i giorni tranquilli stanno per finire. È una fredda notte di dicembre quando una barca abbandonata riporta sulla riva del Po il corpicino di un neonato di circa tre mesi: non c’è dubbio che si tratti di una morte violenta.

“Non c’è niente di più infame che togliere la vita a un bambino”

È il pensiero che tormenta la squadra di Cupertino, il maresciallo Semplici, vicecomandante della caserma, il brigadiere Pedriali tutti scossi da un crimine tanto aberrante. Quando alla piccola vittima si aggiunge anche una giovane donna trovata carbonizzata in una vecchia macchina, il tempo inizia a stringere e l’urgenza di trovare un legame tra i due omicidi, e soprattutto un colpevole, si fa sempre più pressante. Un’indagine complessa, le strade sono impervie, gli attori in gioco non sono pochi e nemmeno in posizioni tali da lasciar condurre senza intralci il lavoro investigativo.

Simone Pavanelli è stato bravissimo a costruire una trama molto complessa che aumenta di spessore durante la narrazione. Si parte da una situazione quasi di pigrizia con la vita piatta e semplice del paese. La squadra ci viene presentata con attenzione ai dettagli, un po’ di informazioni per conoscere gli inquirenti e capire meglio le dinamiche sociali della piccola comunità. Cupertino è un uomo pragmatico, votato alla giustizia e a volte privo di diplomazia, ma se c’è di mezzo un neonato come si può dar peso alle buone maniere?

Non è un caso come gli altri, quegli echi del passato soffiano tra i boschi, tra le mura di casolari abbandonati, di vecchi campi: ci sono segreti da proteggere a ogni costo. Ecco che l’autore unisce al giallo l’elemento esoterico, e lo fa con grande abilità; non si parla di paranormale, ma di retaggi culturali, di antiche usanze, di mistero.

Tutto ciò che racconta è credibile, ci riconosciamo forse nei suoi personaggi grazie anche alle espressioni dialettali che caratterizzano i dialoghi, accompagnando il lettore nella storia senza però appesantire (a parte una raccomandazione per il romano che andrebbe rivisto e corretto). Si percepisce il lavoro di documentazione e l’attenzione a rendere ogni aspetto attinente alla realtà. Anche il racconto come dicevo prima procede per gradi, la tensione sale sempre di più ed è davvero difficile arrivare a una conclusione anche perché il finale spazzerà via ogni congettura, ogni sospetto, travolgendovi come uno tsunami. Si parte pensando di leggere con calma e ci si ritrova a macinare pagine con la bramosia di giungere alla verità, inseguendo il brivido che da sempre solletica la nostra parte ancestrale.

Non posso che fare i miei complimenti a Simone Pavanelli, una prova straordinaria!

Dello Stesso Genere...
Giallo
arezzonico
Bad Panda. L’istinto del lupo

Recensione a cura di Adriana Rezzonico …”Quand’era piccolo e viveva in Sicilia, sopra Patti, nelle giornate serene si appoggiava al grande castagno fuori dalla casa

Leggi Tutto »

Lascia un commento