La donna della cabina numero 10
Doveva essere la crociera perfetta. Le luci del grande Nord su uno yacht di lusso, l’Aurora Borealis, in compagnia di pochi e selezionatissimi ospiti. Un’ottima opportunità professionale per la giornalista Lo Blackwood, incaricata di sostituire il suo capo e ben felice di trovare sollievo dallo choc provocato da un tentativo di furto subito nella sua casa di Londra. Ma la crociera si trasforma ben presto in un incubo atroce… Durante la prima notte di viaggio, Lo assiste a quello che ha tutta l’aria di essere un omicidio, proprio nella cabina accanto alla sua, la numero 10. Non solo nessuno le crede, ma la ragazza che dice di aver incontrato nella stessa cabina sembra non essere mai esistita: non è a bordo, nessuno la conosce, e le tracce lasciate dalla sua misteriosa presenza svaniscono l’una dopo l’altra. Bloccata sulla barca e sempre più isolata nella sua ricerca, Lo cade in preda al terrore. Sta forse impazzendo? Oppure è intrappolata in mezzo all’oceano, unica testimone di un delitto e in balia di uno spietato assassino?
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Alzi la mano chi di voi crede che se un autore è Anglosassone e scrive un cosìdetto “romanzo Chiuso”, ovvero un giallo ambientato in un luogo (tipo treno, nave, isola etc) in cui il colpevole dell’omicidio sia per forza presente tra i protagonisti sulla scena, il risultato del suo lavoro sarà qualcosa di simile a libri come “Dieci piccoli indiani” o “Assassinio sull’Orient Express”.

Se avete ancora le mani basse, continuate pure a leggere altrimenti fermatevi pure qui e correte in libreria ad acquistare “La donna della cabina numero 10”.

Il secondo romanzo di Ruth Ware pone una domanda di fondo estremamente intrigante: è possibile investigare sull’omicidio di un passeggero che non esiste?

Ho trovato questa premessa talmente eccitante da investire nuovamente dei soldi, nonostante il precedente titolo non mi avesse colpito e spero che questo mio monito serva da lezione a tutti quelli che si fanno dei pregiudizi su un autore dopo una lettura infelice: continuate a farlo!

Da quel poco che è la mia esperienza, vi scrivo perchè tecnicamente questo romanzo non funziona.

  1. La protagonista è un personaggio per la quale non si può provare empatia. Una donna depressa che abusa di alcol, un evento spiacevole le sconvolge l’esistenza (perchè? d’accordo, ciò che avviene non lascia belle sensazioni ma non è neanche un dramma… a meno che non ci sia qualcosa sotto.. si ma che cosa?)
  2. Il capitolo dell’Appello scolastico. In un capitolo vengono elencati tutti i personaggi per nome e cognome senza possibilità alcuna che il lettore possa ricordarseli se non dovendo tornare indietro per recuperare le informazioni. Effetto “Gioco dell’Oca”.
  3. Vista la debolezza della protagonista nel trascinare il lettore, il punto di vista della narrazione è in prima persona: errore madornale se ad un certo punto la vicenda cambia a causa di un altro personaggio (sono generico per evitare spoiler) del quale sappiamo poco e non conosceremo mai le motivazioni di un cambiamento epocale
  4. la struttura nel finale manca di un elemento cardine per il genere (che non svelo sempre per non rovinare la lettura del romanzo) che diciamo ha a che fare con l’acme (il cosiddetto climax) della vicenda.
  5. Il finale è a sorpresa come il coniglio dal cilindro di un prestigiatore.
  6. Persino l’utilizzo di Facebook o più in generale dei social rende la storia inverosimile ( vi prego amici se ovessi sparire nel nulla non aprite un post, chiamate la polizia!)

Potrei andare avanti ma non vorrei appesantire roppo la recensione. Credo che questi personaggi non rimarranno nel cuore di nessuno. Peccato perchè la premessa era davvero interessante.

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