Recensione a cura di Rino Casazza
Alessandro Perissinotto è uno scrittore atipico di narrativa poliziesca. Basterebbe, per qualificarlo così, l’aver scritto sotto pseudonimo romanzi gialli ambientati in Estonia, con protagonista un detective locale. In questa serie traspare l’intento di immergere il lettore in una cultura, quella nordica, profondamente diversa dalla nostra.
Il tratto caratteristico della produzione, firmata col suo nome, è quello di svincolarsi dallo schema classico del giallo, dall’indagine sul delitto misterioso condotta da un investigatore professionista, per proporre situazioni alternative. Coerentemente l’unico personaggio ricorrente di Perissinotto, la psicologa Anna Pavesi, è più interessata a esplorare l’interiorità delle persone che a catturare pericolosi assassini.
Il rifiuto programmatico del cliché poliziesco consente a Perissinotto di mettere al centro delle sue storie la riflessione su più vasti temi di carattere sociale e culturale, spesso, ma non solo, legati all’ambiente piemontese, sua terra d’origine.
“Il silenzio della collina” è una summa di questa cifra narrativa.
Il romanzo parte come “racconto di formazione a posteriori”: Domenico Boschis un attore cinquantenne affermato, quantunque non di prima grandezza, è di fronte alla più ineludibile occasione per un bilancio della propria vita: la malattia incurabile del padre, giunta all’ultimo stadio.
Boschis era scappato via, seguendo la madre dopo il burrascoso divorzio dei genitori, dal paesino natale delle Langhe, dove il padre è rimasto a condurre la sua vita di piccolo possidente contadino.
Poiché padre e figlio si sono sempre detestati, Domenico da decenni non mette piede in paese. Luogo a cui sono legati non solo i pessimi ricordi della vita familiare, ma anche quelli, nostalgici, delle prime esperienze infantili e adolescenziali, condivise con gli amichetti di allora, suoi coetanei.
È evidente, né lui lo nasconde nemmeno a se stesso, che assistere il padre è solo un pretesto. Il vero motivo del ritorno è confrontarsi con le proprie radici.
In questa ipocrisia, tutto sembra filare liscio. Il tempo trascorre tra le visite alla clinica per malati terminali in cui il padre sta spegnendosi, e la riappropriazione della disabitata casa colonica di famiglia, condita da emozionanti incontri con vecchie conoscenze.
Sennonché una parola pronunciata dal genitore in apparente delirio scatena in Boschis l’urgenza di una resa dei conti con lui. Conoscere chi era veramente il padre lo aiuterà a capire da dove viene e cosa vuole essere. Ne nasce una testarda e dolorosa inchiesta retrospettiva, che lo porta a riscoprire un tragico fatto di cronaca nera, il rapimento di una ragazzina, conclusosi con la sua tragica morte, in cui non solo il padre, ma anche i genitori dei suoi antichi amici del cuore potrebbero aver avuto un ruolo.
La scrittura raffinata ma lineare di Perissinotto ci porta dentro il mondo atavico e profondo delle Langhe, con i suoi suggestivi paesaggi e i vizi e le virtù della sua gente, già immortalati dai grandissimi Cesare Pavese e, soprattutto, Beppe Fenoglio, di cui significativamente vengono riportati interi passi del suo capolavoro neorealista “La malora”.