Recensione a cura di Manuela Fontenova
Vincitore del Premio Todeschi, Il senso delle parole rotte di Massimiliano Giri è un romanzo che si legge tutto d’un fiato e che io personalmente ho trovato fantastico!
La giovane figlia del Sindaco di Rimini viene rapita dalla sua casa: qualcuno ne ha studiato le abitudini e ha agito indisturbato intrufolandosi dal giardino. Poche tracce e tanta paura per un sequestro che si presenta di non facile soluzione a causa delle pressioni dai piani alti. A occuparsi del caso Matthias Macrelli, commissario serio e affidabile, un ex pugile dal passato doloroso con un compito difficile da portare termine, sotto l’incalzante minaccia del tempo che sottrae speranza agli inquirenti, dovrà scoprire cosa lega la scomparsa di Guendalina Altieri a un caso archiviato precedentemente. Solo così potrà salvare la ragazza e probabilmente il suo posto di lavoro. Con l’aiuto di Sara, grafologa un po’ bizzarra ma abilissima a trovare risposte tra le linee delle parole scritte, il colpevole ha le ore contate.
L’azione è concentrata in un tempo breve, solo cinque giorni per salvare una vita o forse più di una, ma questa cornice temporale non limita la narrazione che anzi si arricchisce di ricordi, di flashback e di dettagli che raccontano tante storie nella storia e che, fino all’ultimo momento regala sorprese imprevedibili.
Il commissario Macrelli è il personaggio chiave del racconto, si intuisce subito il trascorso di sofferenza che lo attanaglia, ma è un uomo pratico Matthias e per tenere alla larga i fantasmi del passato ha imparato a prendere a pugni le emozioni e a schivare i colpi inferti dalla memoria con scatti rapidissimi. Ha trovato la pace nella simmetria dei gesti e degli oggetti, due buffetti sul ginocchio destro e due sul sinistro per rimettere in ordine il caos che genera la vita con il suo semplice fluire. Sara è una grafologa, scultrice, artista, una macchietta di colore nella grigia routine del serio commissario che imparerà ben presto a fidarsi dell’incredibile intuito che si sprigiona da quell’esile figura con i dreadlock viola e gli anfibi.
Ho apprezzato molto il fatto che i due siano praticamente i protagonisti della vicenda, sì ci sono tanti personaggi e comparse ma a dirigere l’azione sono Matthias e Sara e questo focalizza l’attenzione del lettore sulla narrazione senza distrazioni.
La trama è costruita alla perfezione, che per me equivale anche all’assenza di forzature nell’incastro tra indizi e soluzioni, non succede (come ahimè ritrovo altrove) che per giungere alla fine del caso si faccia ricorso al “vincere facile” con improbabili stratagemmi che dovrebbero sbrogliare la matassa. No, l’autore ha collegato fatti, personaggi e deduzioni seguendo una logica irreprensibile per un finale sorprendente.
Non posso che fare i complimenti a Massimiliano Giri, una grande prova, un premio meritatissimo e un augurio a continuare su questa strada, con la speranza di leggere presto un’altra storia con Sara e Matthias.