Recensione a cura di Dario Brunetti
Il programma è il sorprendente romanzo d’esordio di Davide Staffiero che vede protagonista assoluto il signor Bloch, un pensionato rimasto vedovo che conduce una vita quotidiana alquanto piatta e apparentemente normale.
Ma chi è questo strano personaggio? Il signor Bloch programma in maniera maniacale le sue giornate osservando e scandendo l’ora esatta per i suoi semplici appuntamenti: al bar dove lo attende il solito caffè al suo tavolino (personale) servito sempre dallo stesso cameriere, dall’edicolante con l’acquisto del suo quotidiano ed infine col panettiere per fare qualche piccola spesa.
Se avviene un piccolo imprevisto o perde di vista l’orario, il signor Bloch entra in un totale stato di disagio avvertendo forti attacchi di panico e finisce inevitabilmente col compromettere la sua giornata.
Il sottile confine tra razionalità e pazzia è messo in evidenza dall’audace Staffiero che ci offre una storia geniale nel suo dramma psicologico, proprio quel forte disagio che vive il burbero personaggio del signor Bloch.
Questo romanzo ha la capacità di far riflettere il lettore perché effettivamente trovarsi con dei maniaci, fobici dell’ordine o del pulito oppure con una vita regolata da un semplice orologio potrebbe essere un reale habitat naturale di parecchie persone che possono farsi largo in questa dimensione e trovarsi tutto sommato a proprio agio. Se vogliamo farci una risata pensiamo al personaggio Furio interpretato magistralmente da Carlo Verdone nel film “Bianco, Rosso e Verdone”.
La mania può purtroppo trasformarsi in quella ossessione compulsiva raccontata da Staffiero in modo esemplare, mettendo così in discussione il proprio protagonista che entra in una spirale negativa portando poi il suo male alla sua stessa assuefazione.
L’inizio di un apparente benessere si trasforma in uno stato di passività fino a diventare una condizione di totale malessere, che porta il protagonista ad andare quasi in un letargo dal quale è quasi impossibile uscire.
Un romanzo sul dilemma della gestione del tempo, questa è la chiave di lettura che si vuole dare, concentrando l’attenzione sulla vita del protagonista che prima o poi dovrà fare i conti con le sue insicurezze. Vengono messi in evidenza quei contrasti ineluttabili dell’esistenza, di quella opaca solitudine che fa vivere ai margini di una società, dove un uomo come Bloch è capace di creare un suo mondo fatto da uno smisurato perfezionismo tale da renderlo una vera e propria vittima. Un percorso che lo porta ad un processo di disidentificazione, perché, in fin dei conti, quando si chiudono gli occhi e la mente cerca di riposare, si vuole andare incontro ad un pensiero di felicità apparente, quella illogica allegria, come cantava il grande Giorgio Gaber.
Stile originale ed una scrittura scorrevole per un romanzo fin troppo convincente che non tradisce le aspettative.