Il mistero della Torre nel parco e altre storie
Milano, anni Venti. Una mattina, uscendo di casa, il commissario Carlo De Vincenzi lascia alla portinaia della sua abitazione in via Massena una cartellina azzurra, annunciando che passerà a ritirarla un giornalista, un certo Augusto De Angelis. La sciura Matilde Maria Ballerini sbircia curiosa i documenti che vi sono contenuti e scopre che in mezzo a foto e cartoline si nascondono le storie di alcuni degli incontri più incredibili fatti dal “poeta del crimine” nella sua vita. Indagini su furti in casa e a Sant’Eustorgio, inchieste su morti annegati nel naviglio o uccisi in cima alla Torre Littoria o nel mezzo della Sala d’Armi del Castello Sforzesco. Incontri speciali con personaggi che hanno avuto a che fare con la polizia a Milano come Riccardo Bauer, Gio Ponti, Ho Chí Minh, Alfred Hitchcock, Antonio Gramsci. Carica di avventure e piena di colpi di scena, quella del “poeta del crimine” appare una vita degna di un romanzo…
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Il Commissario De Vincenzi è il protagonista negli anni 30 sino all’inizio degli anni 40 di una serie di romanzi gialli classici, ma tutt’altro che convenzionali, scritti da Augusto De Angelis, giornalista, saggista e narratore. Il ciclo si è interrotto perché l’autore, pestato a morte da un simpatizzante fascista, è una vittima delle turbolenze  che hanno connotato il periodo della Repubblica Sociale Italiana.

Si potrebbe pensare che il personaggio di De Angelis avesse marcati tratti antifascisti, e questo abbia causato allo scrittore la triste fine, invece non è propriamente così. De Angelis ha pagato con la morte l’atteggiamento troppo sbilanciato contro l’Asse Roma Berlino tenuto nelle sue prese di posizione giornalistiche dopo l’8 settembre 1943. Il Commissario De Vincenzi è sì non allineato col regime nelle sue indagini che si svolgono in piena epoca littoria, ma non per esplicita dissidenza bensì perché è un funzionario onesto e capace che bada soprattutto a fare il suo mestiere, ovvero catturare i delinquenti. E lo fa mettendoci fiuto e notevoli capacità professionali, ma soprattutto un approccio, nuovo nel panorama degli investigatori letterari italiani -ma anche internazionali, visto che qualcuno lo paragona, non impropriamente, al Commissario Maigret – che privilegia la conoscenza umana delle persone implicate nell’inchiesta e la comprensione profonda dell’ambiente in cui i delitti si verificano.

Luca Crovi, al quarto libro apocrifo dedicato all’originale investigatore milanese, si discosta sensibilmente, per rimanere fedele al modello originale, dal taglio imposto dagli sceneggiatori alla serie televisiva che, negli anni 70, portò sul piccolo schermo De Vincenzi nell’interpretazione di Paolo Stoppa, ovvero minimizza i tratti ideologici del personaggio per farne “il poeta del crimine”, un poliziotto che sente come una missione riportare la giustizia nell’ambiente della Milano di quegli anni, in cui la criminalità non conosceva ancora la barbarie dei giorni nostri, e conservava un senso etico che permetteva di guardare con umana indulgenza, pur nell’inflessibilità della repressione, non solo alle vittime, non sempre del tutto innocenti, ma anche ai colpevoli.

Ne deriva un quadro dell’epoca nostalgico ma estremamente vivo, con una serie di storie in cui De Vincenzi su confronta con numerosi personaggi reali (per esempio Antonio Gramsci e Alfred Hitchcock) che sono passati per il capoluogo lombardo in quegli anni.

Luca Crovi è così convinto del valore assoluto che riveste la figura di questo così speciale Commissario che, addirittura, nel libro il suo autore, in uno sdoppiamento metaletterario, diventa esso stesso personaggio, come se  De Vincenzi fosse una persona realmente esistita a cui  De Angelis si è ispirato nei suoi romanzi.

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