IL LABIRINTO DI GHIACCIO
L’uomo è solo, ha con sé uno zaino, qualche indumento, pochi viveri. Per ogni metro percorso in salita, lasciandosi il bosco alle spalle, ha abbandonato un pensiero che lo legava al mondo. La famiglia, il lavoro, la casa. Ora che il ghiacciaio gli si mostra in tutta la sua imponenza, sa che il confine tra ciò che è stato e ciò che inizierà a essere è tracciato. Qualcuno, di fronte alla sua scomparsa, penserà a una disgrazia, altri a una fuga. Ipotesi tutto sommato plausibili, considerato quello che si porta sulla coscienza. Nessuno capirà la sfida primitiva che ha lanciato a se stesso: vivere in assoluta solitudine in un angolo ostile di mondo, facendo perdere le proprie tracce. E lì, dove la natura non contempla la compassione per il debole, attraverso la fatica e la sofferenza, ritrovare la propria umanità autentica, lontano da qualunque alibi, fossero anche gli agi che facevano di lui uno tra i tanti. Mette dimora su quelle montagne dove, durante la guerra, il freddo ha fatto più morti delle granate, e il ghiacciaio che sorveglia la valle diventa il suo fortino. Con l’aiuto di un piccone, ne scava le viscere fino a dare vita a un labirinto di gallerie di cui sentirsi padrone. Apparentemente immobile e docile, l’immensa distesa bianca sembra essere complice di quell’impresa unica e irripetibile. Finché vaghe tracce sulla neve gli insinuano il dubbio di non essere solo. Quando il ghiaccio gli restituisce tracce del passato, rendendolo testimone di una misteriosa vicenda, la sua determinazione vacilla. E nel momento in cui abbassa le difese, il mondo a cui si è sottratto è lì per prendersi la sua rivincita. Con scrittura ricercata e vivida, Valerio Varesi mette in scena un grande rifiuto: quello di far parte di un sistema paradossale che, in nome di un estenuante individualismo, condanna tutti all’omologazione.
È sera e solo adesso, col buio, provo un inquietante disagio in tutto questo silenzio

Leggere Valerio Varesi è sempre un piacere, per come scrive, per quello che scrive. Il labirinto di ghiaccio, libro del 2003 e ripubblicato da poco (10 ottobre) l’ho guardato con timore e curiosità: timore perché sospettavo una lettura impegnativa, curiosità perché volevo leggere Varesi, senza leggere di Soneri, il suo personaggio seriale.

Dalla prima frase: ” È sera e solo adesso, col buio, provo un inquietante disagio in tutto questo silenzio.” intuisco dove mi porterà questa storia: sarà una lettura carica di significato che non mi lascerà indifferente.

È una storia narrata in prima persona, composta da tanti ingredienti, un viaggio fatto di elementi concreti: montagna, natura, sopravvivenza e altri impalpabili: senso della vita, ricerca di sé, religiosità.

La lettura mi avvolge e coinvolge, la storia raccontata, dai contorni noir, è personale, quella di un uomo in fuga, prima di tutto da se stesso, ricca di spunti di riflessione sul mondo, sulle cose che contano veramente nella vita ma soprattutto è il viaggio di un uomo che, nascondendosi, vivendo di poco e niente, in balia degli elementi primordiali, scavando nel ghiaccio, per realizzare prima un tunnel che lo aiuti negli spostamenti, poi costruendo un labirinto che scoraggi eventuali intrusi, agisce secondo una sua legge morale. La prima parte, quella dedicata alla costruzione del suo rifugio, alla ricerca delle provviste che gli permetteranno di sopravvivere è un riavvicinamento alle cose dimenticate ma basilari quando si è immersi nella natura e si può contare solo su se stessi. Questa è una delle frasi che rappresentano bene il senso della fuga. …”Niente mi era riuscito d fare, in passato, che non fosse già stato pensato da altri: avevo scelto di vivere sfidando l’impossibile per essere il solo, il primitivo, l’uomo che lotta e strappa la vita giorno per giorno, Mi sentivo autentico e finalmente vivo.”…

Pian, piano la voglia, la necessità di sapere cosa fanno gli altri, lo porteranno a spiare il paese. Vedere e non essere visto in qualche modo lo esaltano. Il ritrovamento di un diario quasi illeggibile gli farà intuire una storia che lo riguarderà da vicino, prenderà alcune decisioni che potrebbero metterlo in pericolo e forse in questo suo immischiarsi c’è anche la volontà di esserci, di far parte del mondo, lo stesso mondo dal quale fugge.

Valerio Varesi descrive anche il viaggio interiore di quest’uomo, il suo avvicinamento a Dio, … ” E non so se è stata proprio la previdenza o la riflessività che le fa da aureola a portare i miei pensieri su Dio. Non sono un uomo di fede ma adesso ci penso.”…

Varesi non ci nasconde ma non esalta la spietatezza di quest’uomo, descrive il suo ritorno all’essenza, la continua battaglia per sopravvivere, dove la ragione non conta. Alcune delle pagine più belle, a mio avviso, sono quelle nelle quali Varesi descrive la costruzione del labirinto, leggendo sono passata dallo stupore allo scoramento, alla pena per il protagonista. Non ho potuto fare a meno di pensare al labirinto di Creta, al sistema di difesa di alcune città fortificate e infine alla pazzia spesso raffigurata in forma di labirinto. Come non pensare a Pentesilea, di cui scrive Calvino in “Le città invisibili”? Ho pensato a Leonardo da Vinci e potrei continuare, per dire che nella lettura o meglio nelle riflessioni ad essa legate la mente spazia, e numerosi quesiti si aggiungono a stimolare i ragionamenti.

Non voglio raccontare altro per non rovinare la lettura. Preparatevi, addentratevi nel libro come il protagonista fa nella montagna, immaginatevi le gallerie, il labirinto e non potrete che esserne affascinati.

Valerio Varesi come piace a me.

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