Il grido della rosa
Torino, 1935. Mancano poche settimane all’uscita del nuovo numero della rivista di gialli «Saturnalia». Anita è intenta a dattilografare con grande attenzione: ormai ama il suo lavoro, e non solo perché Sebastiano Satta Ascona, che le detta la traduzione di racconti americani pieni di sparatorie e frasi a effetto, è vicino a lei. Molto vicino a lei. Alla sua scrivania Anita è ancora più concentrata del solito, ancora più immersa in quelle storie, perché questa volta le protagoniste sono donne: donne detective, belle e affascinanti, certo, ma soprattutto brave quanto i colleghi maschi. Ad Anita sembra un sogno. A lei, che mal sopporta le restrizioni del regime fascista. A lei, che ha rimandato il matrimonio per lavorare. A lei, che legge libri proibiti che parlano di indipendenza, libertà e uguaglianza. A lei, che sa che quello che accade tra le pagine non può accadere nella realtà. Nella realtà, ben poche sono le donne libere e che non hanno niente da temere: il regime si fregia di onorarle, di proteggere persino ragazze madri e prostitute, ma basta poco per accorgersi che a contare veramente sono sempre e solo i maschi, siano uomini adulti o bambini, futuri soldati dell’Impero. E così, quando Gioia, una ragazza madre, viene trovata morta presso la villa dei genitori affidatari di suo figlio, per tutti si tratta solo di un incidente: se l’è andata a cercare, stava di sicuro tentando di entrare di nascosto. Anita non conosce Gioia, ma non importa: come per le sue investigatrici, basta un indizio ad accendere la sua intuizione. Deve capire cosa è successo veramente a Gioia, anche a costo di ficcare il naso in ambienti nei quali una brava ragazza e futura sposa non metterebbe mai piede. Perché la giustizia può nascondersi nei luoghi più impensabili: persino fra le pagine di un libro.
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Interessante la scelta di Alice Basso di raccontare le figure di Anita e Clara, ventenni nel 1935, che lavorando come dattilografe si emancipano e che sono femministe antelitteram. Anita è una bella ragazza, sveglia, acuta, che ha presto imparato a usare la sua avvenenza per fare quello che le interessa di più, mascherando la sua intelligenza. Clara, meno avvenente, autoironica, ha un’intelligenza sviluppata, le due insieme sono in grado di architettare qualsiasi pensiero e azione. Candida, la loro insegnante, riconosciuta l’intelleginza delle due ragazze, favorisce la loro amicizia. Una volta finita la scuola, diventa un’amica e confidente per entrambe, ha dalla sua il blasone della famiglia, i mezzi materiali e le conoscenze per aiutare le due ragazze, fornendo loro libri proibiti che permettono di sviluppare spirito critico e continuare a emanciparsi attraverso la cultura, in barba alle convinzioni dell’epoca. In questo spaccato di società italiana del 1935, c’è spazio per l’indagine, per il giallo ma anche per gli sviluppi in rosa della storia. La scrittura di Alice Basso è difficilmente incasellabile in un genere e questo, a mio avviso, ne fa un pregio. Leggere le sue storie apre lo sguardo su un’epoca storica particolare, permette di conoscere temi apparentemente minori di un passato non così lontano. Mettere l’accento su figure di donne così poco convenzionali ci fa ricordare i passi fatti in tema di emancipazione ma anche la necessità di  non mollare un milllimetro di quanto ottenuto e continuare a lavorare per non tornare, tragicamente, indietro. Apprezzo moltissimo la vena ironica che contraddistingue la scrittura di Alice Basso,  i dialoghi fra Anita e Clara talvolta particolarmente esilaranti. Per quanto riguarda il giallo è ben sviluppato, i ragionamenti di Anita, le sue intuizioni, portano alla risoluzione del caso, anche se per ovvi motivi non sempre trovare la soluzione significa ottenere giustizia, ma Anita e Sebastiano raccontando e pubblicando la storia restituiscono dignità ai protagonisti.

Consigliato a chi ama le contaminazioni di generi, a chi conosce Alice Basso, a chi cerca una ventata di freschezza e qualche risata, a chi apprezza le storie nella Storia.

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