Il dono
«È stato il mio cuore. Non sono stato io.» Con queste parole, e un coltello insanguinato tra le mani, l’uomo accoglie la polizia. Tutti lo conoscono, è un giornalista che si è sempre occupato di cronaca nera, unica persona a cui molti criminali hanno deciso di rilasciare un’intervista. Un uomo integerrimo, calmo, stimato. Che ora è diventato un brutale assassino. Un mostro. L’ispettrice Flavia Mariani è una donna dura e intransigente, non ha molti amici ma nel suo lavoro è sempre stata una delle migliori, forse per dimostrare al mondo, e anche a sé stessa, che una donna in polizia può valere più di un uomo. Quando va a trovare l’assassino nell’infermeria del carcere, è pronta ai comportamenti tipici di quelli come lui: il silenzio, la menzogna, l’invenzione. Invece, la realtà che le viene restituita è esattamente quella che hanno stabilito i primi rilievi: la modalità dell’aggressione, i tempi e i luoghi. Ma qualcosa non la convince. Perché parla del proprio cuore come se fosse un’entità diversa da sé? E perché in casa sua ci sono segni di persecuzione e minacce? La risposta, o almeno un primo indizio, è nella cassaforte dell’uomo, sotto forma di un foglio. L’uomo ha subito un trapianto di cuore e il donatore è Valerio Felici, un serial killer che per anni aveva agito indisturbato, fino alla morte accidentale. Solo mesi dopo, erano state rinvenute per caso le prove dei suoi crimini. A quanto pare troppo tardi per impedire che il suo cuore continuasse a vivere nel corpo di un altro. E ne facesse a sua volta un assassino. Ma il cuore non è il solo organo ad essere stato donato, e ora Flavia deve trovare gli altri. Per salvarli. O per fermarli.
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E se fosse il male a salvarti la vita? E se nonostante il tuo carattere, la tua anima pulita, la tua fedina penale limpida, dentro di te si nascondesse un mostro?

Con questi interrogativi ho chiuso il romanzo di Paola Barbato “Il dono”, una storia che non lascia tregua al lettore e alla sua psiche.

Un romanzo che va a toccare corde sensibili e profonde dell’umanità, che mette sul piatto della bilancia il bene e il male, ma soprattutto l’ineluttabilità di una scelta non tua.

La prima cosa per cui questo romanzo si fa notare, è la grande capacità e professionalità dell’autrice di parlare di medicina. Non è facile, ci si addentra in campi specifici, dolorosi, con cui non si può certo scherzare. La Barbato lo fa con maestria, facendo diventare termini medici e terapie all’avanguardia, pane per i suoi denti. Il trapianto è al centro dell’opera, tanto che i personaggi che si muovono tra le pagine, non hanno un nome, ma sono identificati dal lettore con il nome dell’organo che è stato loro trapiantato: Cuore, Pancreas, Polmoni, Fegato, Reni e Cornee. Non ci si dimentica mai, durante la lettura, che il personaggio che sta vivendo le azioni, non è più “unico” e “individuale”, ma ha in sè qualcosa che proviene da un’altra persona, da un’altra anima, da un’altra vita. Da chi vengono questi organi?

Chi legge è continuamente pressato da questa domanda: e tu cosa faresti? Vorresti sapere chi ti ha donato la vita per la seconda volta? E se non fosse chi ti aspetti? E se quella persona fosse un mostro?

Nonostante la storia sia molto articolata e i personaggi non pochi, il romanzo si legge in un soffio, grazie alla scrittura fluida e avvincente dell’autrice. Il tutto è legato da un omicidio che avviene tra le prime pagine, la cui risoluzione dipende dal ricomporre un puzzle che sembra impossibile da ricostruire.

Consigliato, per l’originalità della trama, la suspance e la caratterizzazione dei personaggi.

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