Un appassionato lettore in più fiorentino non può non sentirsi tirato in causa, nel leggere quanto Vichi ci propone attraverso la figura del commissario Bordelli .Un dubbio lo assale rispetto alla produzione di romanzi portata avanti da Vichi, un dubbio che nasce da punti di vista che si stanno contrapponendo tra i lettori. Da una parte chi considera “ Vichi una garanzia ed incontrare il commissario Bordelli è come riabbracciare un familiare che non si vede da tempo “; dall’altra chi, dopo aver letto tanti dei suoi libri, comincia a prestare il fianco alla stanchezza, “ accusando “ Vichi di incorrere nella ripetitività nell’uso/abuso di spunti che con il tempo vanno accentuandosi : le cene tra amici ed i conseguenti racconti che ne scaturiscono. Racconti che si dilungano e che rischiano di far perdere l’attenzione rispetto al motivo principale per cui è stata iniziata la lettura del romanzo. Non ritengo che dire verso quale parte propendo sia importante; ciò che ritengo importante è l’aver cercato uno strumento che mi desse elementi per chiarirmi il dubbio poco sopra detto .Ho ritenuto che prendere in mano “ Il commissario Bordelli “ potesse servirmi a questo scopo, in quanto il primo con Vichi che da vita al commissario Bordelli, con, addirittura, una “ lettera di Bordelli ” a Vichi, cioè dove tutto ebbe inizio. Fatta questa premessa, ecco che siamo a Firenze nel 1963, nel post periodo bellico con troppa miseria a giro che non ci doveva essere. Firenze, con un’afa insopportabile, tra zampironi ed il mai dimenticato DDT. Un Bordelli che nell’ essersi affezionato alla solitudine, manifesta la mancanza di certezze ed i ricordi mai passati, della guerra,senza più voglia di sognare; con i suoi amici che vivono in bilico tra legalità ed il suo contrario, come il Botta; il ladruncolo, un cuoco nato, che gli ha insegnato come aprire le porte, ma che i suoi insegnamenti sono motivo di importanza,che sulla faccia porta i segni di una vita dura e misera refrattario ad assistere al le autopsie e che si regge in piedi grazie alla tensione emotiva . Già in questo romanzo troviamo sia luoghi che successivamente Vichi ci rinnovererà, a partire da quelle trattorie popolari, da Cesare a I’Lordo, oggi chiuse definitivamente a quei personaggi, che sono veri e propri casi umani . Ed ecco le fatidiche cene tra, e con gli amici; con riferimenti a personaggi che hanno segnato Firenze, come ad esempio Don Cubattoli. Comunque in questo romanzo ciò che emerge è la disillusione post liberazione dal nazi-fascismo con i partigiani che finiscono in galera ed i fascisti invece, fuori, perché “ è necessario dimenticare il passato “, parole che abbiamo sentito ripetere, spesso, anche di recente. Alla fine di queste oltre 200 pagine , sinceramente posso dire di aver letto un buon romanzo, ma non sciolto il mio dubbio, la cui risoluzione la rimando alla prossima lettura di un romanzo di Vichi.
Noir
Recensione a cura di Elio Freda Leggendo il libro della Bucciarelli, incentrato sul tema del perdono, si ha la sensazione di scorrere un album fotografico.