Non conosco personalmente Chiara Forlani, ma la seguo come autrice.
Mi piace la sua scrittura delicata che tale rimane anche in un giallo dalle tinte forti come Il campo delle ossa.
Il thriller è ambientato agli inizi degli anni Cinquanta in una Ferrara con tanta voglia di lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra, ma con altrettanta paura per il progresso che avanza.
Un periodo che vede ancora la donna in una condizione di inferiorità, un’epoca dove la semplicità regna ovunque, un momento storico dove le persone sono genuine, sanguigne.
In questo contesto si muove Attilio, un personaggio in bilico tra la voglia di fuggire da una realtà di provincia e la consapevolezza che solo in quella parte di Pianura Padana possa trovare la felicità, perché quello è il suo mondo e lì ha le sue radici.
Dalla penna della Forlani emerge tutta la sensibilità di questo uomo, soprannominato il Foresto a causa di anni passati a vagabondare. Un ragazzo che non esita a mettersi a disposizione degli altri, soprattutto se si tratta di portare avanti giuste cause.
In questa nuova indagine si ritrova a investigare su ossa umane cha appaiono in un campo durante degli scavi.
Chiara ci riporta uno spaccato nitido di quegli anni: la fatica di chi deve per forza trovare un modo per mantenere la famiglia prestandosi a un lavoro duro presso uno zuccherificio con temperature elevatissime che non tengono conto delle stagioni e dell’afa che troneggia su quella parte di pianura. Sono immagini precise quelle che l’autrice ci presenta: il sudore, l’odore dolciastro dello zucchero, quella sgradevole sensazione di attaccaticcio sulla pelle e sui capelli.
La Forlani ci trascina in quelle terre assolate, dove risulta difficile perfino respirare. E ci porta in un mondo antico dove il pregiudizio, accompagnato dall’ignoranza, trova terreno fertile e sfocia in comportamenti discutibili, da condannare. Peccati che devono essere tenuti nascosti, colpe – che colpe non sono – da non rivelare.
Anche se nel romanzo si affrontano aspetti legati alla religione, devo confessare che ho ritrovato alcune tematiche che si ripetono ai giorni nostri, segno evidente che ancora siamo legati a preconcetti che andrebbero superati. Non può essere un peccato una gravidanza per una donna sola. È spontaneo chiedersi: siamo sicuri che si parli degli anni Cinquanta? Non viviamo le stesse problematiche in questo nuovo millennio? E, come allora, sono i più deboli, gli indifesi a pagarne le conseguenze.
Innocenti, vittime dei tempi, delle malattie e del pregiudizio.