Gli ultimi della steppa
Quando Michail Aleksandrovič riceve dalla Mongolia i resti di un cavallo selvatico, ne rimane folgorato: il teschio che tiene tra le mani corrisponde a quello di un esemplare considerato estinto da lunghissimo tempo, tanto che il giovane zoologo di San Pietroburgo comincia subito a sognare una spedizione negli altipiani a oriente, alla ricerca della specie che affonda le sue radici in tempi remoti, forse la più antica esistente, di cui i nomadi non hanno mai smesso di raccontare. Un’impresa apparentemente impossibile, che l’incontro con un esploratore entusiasta renderà d’un tratto concreta. Poco più di cento anni dopo, Karin lascia Berlino insieme al figlio e si avventura nella riserva di Hustajn per realizzare il più grande piano di salvaguardia naturale di tutti i tempi: grazie a lei, quegli stessi cavalli un tempo liberi e selvaggi, con i quali sin da bambina condivide un legame profondo, stanno per tornare alle vaste steppe delle origini. Ce la faranno a sopravvivere? E che ne sarà di quelli rimasti nei parchi faunistici di un continente sconvolto dai cambiamenti climatici, da carestie e alluvioni, di cui Eva, in un futuro molto vicino, si prende cura nella sua fattoria? Sono loro, i cavalli di Przewalski, quelli dei miti e delle pitture rupestri, il filo narrativo che unisce le vicende di tre secoli: dalla Russia del tempo degli zar, attraverso la Germania di ieri e di oggi, fino al Nord di un’Europa che si sta dissolvendo, Maja Lunde racconta di tre famiglie – tre madri e i loro figli – unite dalla passione per la stessa specie e dalla lotta per impedirne l’estinzione. Tre storie che si intrecciano e si moltiplicano in un romanzo dalle tante voci, che schiude la visuale su un mondo più ampio, dove tutto è connesso. Perché tutto, in natura, dipende dalla capacità di vedere oltre noi stessi, al di là della nostra singola vita, così piccola, eppure decisiva per gli altri e per il futuro del pianeta.
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Recensione a cura di Manuela Baldi

Sono i cavalli di Przewalski, conosciuti anche come cavalli selvatici o takhi, il filo conduttore fra queste tre storie. Le protagoniste sono due donne e un uomo. Eva, Karin e  Michail Aleksandrovič.

Maja Lunde ci racconta tre storie in epoche diverse, alternandole e di fatto procedendo in tre racconti diversi. Si inizia a Heiane, Akershus, Norvegia nel 2064. Eva, madre single, cerca di mandare avanti la fattoria di famiglia in uno scenario desolato e sempre peggiore, la gente se ne va, sempre più a nord, lei non riesce a decidersi perché all’interno della fattoria ha ancora degli animali fra cui due takhi, i  cavalli selvatici.  Eva ha una figlia adolescente, Isa, che vorrebbe andarsene come hanno fatto i vicini e che non riesce a capire perché sua madre sia così attaccata alla fattoria e agli animali.

Si prosegue con la storia che Michail Aleksandrovič narra in una sorta di diario e che ha inizio nel 1880 a San Pietroburgo. Miša, è vicedirettore del giardino zoologico, alle prese con il bilancio deficitario, viene sottratto a questa poco piacevole incombenza da un suo collaboratore che avendo ricevuto un pacco dalla Mongolia, lo costringe ad andare in fretta e furia al giardino zoologico per visionare il contenuto. Il pacco contiene una pelle e un teschio di un cavallo selvatico. Nasce da questo avvenimento la spedizione in Mongolia alla ricerca dei cavalli selvatici con Wilhelm Wolff, un famoso mercante di animali selvatici vivi, che cambierà la vita di  Miša, per sempre.

Il terzo capitolo ci parla di Karin, una veterinaria tedesca che, a capo di un progetto scientifico, riporta un primo gruppo di cavalli selvatici in Mongolia, la accompagna il figlio Michael, ex tossico. Siamo nel 1992. In un  lungo viaggio, spossante per uomini e animali, i thaki, così vengono chiamati i cavalli selvatici dai Mongoli, tornano nella loro terra d’origine. Karin è presa dal progetto e ha sempre anteposto il suo lavoro a tutto il resto.

Oltre a raccontarci dei cavalli selvatici e in questo le tre storie si intrecciano, è molto interessante il racconto dei protagonisti. Gli scenari passano dalla desolazione, all’esaltazione. Al centro di tutto la nascita e l’estinzione ma non solo quella animale, anzi a volte la narrazione delle vicissitudini dei thaki, è la metafora della vita umana. Maja Lunde ci racconta il dramma, la violenza, la disperazione, la morte, l’amore, il coraggio, la speranza, la vita, il senso del dovere. I protagonisti delle tre storie sono donne e uomini che credono in quello che fanno, provano a lottare. Nonostante l’ambientazione in anni diversi si riesce ad immedesimarsi nelle vicende umane dei protagonisti: i rapporti fra genitori e figli, l’amore, le convenzioni sociali. Per quanto mi riguarda personalmente una volta finito di leggere, il primo pensiero però è stato quello di pensare che se non diamo una svolta al nostro modo di vivere e di depredare l’ambiente, lo scenario apocalittico descritto nella storia di Eva è quello che ci aspetta.

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