Città del sole e della luna
Sei racconti neri ambientati nella città del sole, sei storie legate dal filo rosso di una Napoli oscura, notturna, lunare. Sei investigazioni dentro e oltre l’idea del delitto, sei alibi per visitare un luogo della mente in cui la vittima si confonde col carnefice e il crimine con l’innocenza.
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Il filo conduttore dei sei noir di Sergio Brancato sono delitti che si muovono sullo sfondo di una Napoli oscura dove la stessa vita quotidiana appare sottratta a qualunque legge. Una visione quella di Brancato che non appartiene a un’idea contemporanea ma, al contrario, a radici profonde, davvero antiche, infatti già Boccaccio e Petrarca in alcune loro opere avevano rappresentato Napoli come luogo dell’avventura, della violenza e della frode. Un luogo dove la forma e il groviglio delle strade si identifica spesso con il pericolo, il mistero e l’ambiguità di un mondo ostile in cui è facile confondersi e smarrirsi. Non è sorprendente però che proprio l’inaffidabilità di questa città solleciti le risorse dell’ingegno e generi i sentimenti più nobili. Nello stesso titolo del libro il sole e la luna, due elementi contrapposti, generano questa perenne dicotomia tra la Napoli tenebrosa e la Napoli “locus amoenus”, luogo di bellezza perennemente vivo nonostante tutti gli assalti della storia e degli uomini.

Brancato con questo libro riapre la contraddizione e attraverso la suspense del giallo mette in scena il conflitto esistenziale, l’analisi del comportamento umano, le lacerazioni tra passato e presente, il disagio umano di fronte a una società incoerente. Un’ombra oscura della natura umana che genera il delitto e che Brancato rende perfettamente “visibile” grazie a una descrizione precisa e accurata e a un linguaggio forte e crudo, in cui ogni parola sembra essere usata nel suo estremo significato.
In “Matto Scespiriano”, il primo racconto noir, un giovane laureato, disoccupato, si inventa un lavoro tra psicologo e investigatore, in poche parole il detective di quei personaggi famosi che il troppo lavoro e lo stress hanno condotto alla follia. Una storia di ipocrisia e di degrado con un finale pungente che fa riflettere su una società inerme, in cui spesso è il giusto che finisce per diventare matto mentre il vero matto è coperto e giustificato.
Nel secondo racconto, “Il giardino zen”, da una fotografia di Jean Philippe Charbonnier che ritrae un giardino di pietra e un monaco zen che lo fissa si intuisce lo stesso sguardo del protagonista, affascinato e incantato da questo mondo e spinto ad una sorta di riflessione sulla nostra capacità di meditare e contemplare.
Nel “Mistero dello scheletro neandertaliano” c’è invece la storia di Edgardo che si trova al confino in un paese sperduto e desolato della Lucania. Uno scrittore, un giornalista, un critico dal passato brillante, costretto a vivere in un mondo solitario anonimo. Al centro del racconto il ritrovamento di uno scheletro in un pozzo calcareo, creduto reperto antico e meglio conservato di “Homo sapiens”, condurrà a scoprire delitti passati e indurrà a compierne altri.
“Jingle per demonio soave” e “Città del sole e della luna” sono i racconti a mio avviso più belli.
Nel primo il noir si colora di fatti sociali trasversali intrisi di una realtà pedante, un viaggio parallelo fra due città, Tangeri e Napoli, dove l’abbandono, la fine ma anche l’illusione e la passione sono stucchevoli termini di paragone. Un viaggio che muta gli scenari di un uomo triste e sfortunato che si ritrova nella sua città natia Napoli per ricevere un’eredità. Tra le valigie sfatte e l’eco di una casa vuota Enrico impara a conoscere la città dai mille volti, “un labirinto arabo” in cui si perde: coinvolto nell’oscurità di un macabro delitto si troverà a correre dietro ad una passione insana che lo indurrà a pagare i costi umani più alti.
In “Città del sole della luna” il protagonista è uno scrittore inglese famoso arrivato a Napoli per compiere quel viaggio tanto intensamente desiderato. Una Napoli borbonica descritta con la bellezza dei luoghi e del suo vulcano infuocato ma anche narrata nei suoi contrasti selvaggi, un viaggio in una Napoli antica in cui il protagonista non smette mai di elencarne i disagi anche se affascinato da alcuni eventi che gli capitano. Si attraversa porta Nolana dove le conchiglie dalle vasche di legno “sputano in faccia i passanti”, Porta Capuana, Piazza del Mercato dove sostano donnette allegre e mendicanti laceri e scalzi, Pompei recuperata “dal solerte lavoro degli scalpelli”, il tempio di Iside paragonata a Napoli perché anch’essa, come la dea ritenuta la “Grande madre”, è città universale in grado di contenere ogni cosa e il suo contrario, fino ad arrivare alla meta agognata: la “montagna di fuoco” il Vesuvio. Un altro personaggio altrettanto importante da rilevare in questo racconto è l’ingegnere Rymer, anch’egli con la passione della scrittura ma meno bravo e famoso dello Scrittore. L’altra faccia della medaglia, un integerrimo paladino, un difensore, un amante incallito di Napoli che contrasterà le idee dello Scrittore fino a compiere atti disumani pericolosi che mineranno fortemente la vita del malcapitato. Tra eccessi e realismo le pagine di questo libro raccontano senz’altro di un amore viscerale verso una città tanto amata ma anche tanto odiata, con la quale però si è legati per sempre da un inesorabile patto di sangue.

 

 

 

 

 

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