Recensione a cura di Manuela Fontenova
“Aprile è difficile da capire, impossibile da esplorare. Perché è fatto di fiori e di frutta nuova, fa immaginare che il peggio sia passato e non ci sia più da avere paura”
Un aprile ingannevole quello del 1939, la paura scorrazza libera per le strade della città, accarezza ogni respiro di chi dissente o nasconde un piccolo segreto, turba il sonno di chi vorrebbe solo una vita serena. È un aprile che promette la bella stagione ma è testimone di infinito dolore il mese che celebra il nuovo e attesissimo romanzo del Commissario Ricciardi, Caminito.
La storia si apre con il ritrovamento di due cadaveri, una giovane coppia uccisa in un momento di intimità. Una morte violenta, Luigi Alfredo può vederne le sagome esalare gli ultimi pensieri che le hanno attraversate prima di lasciare questa vita. Ma le parole sono sibili che vanno interpretati e la verità è sempre ben celata dalle nefandezze della quotidianità. Le morti “politiche” sono all’ordine del giorno, non ci si può muovere liberamente nemmeno per indagare. La situazione politica è sempre più preoccupante, le leggi razziali spaventano tutti, notizie di guerra si rincorrono senza sosta e ognuno deve pensare anche alla propria sopravvivenza.
Ricciardi non si è mai sbilanciato, ha mantenuto da sempre un basso profilo per non compromettere le indagini, il fine è fare giustizia ed evitare spiacevoli inconvenienti è l’unica via per arrivarci, ma adesso ha un altro motivo per non esporsi: è un padre e la sua piccola Marta dipende da lui, non può permettersi di non tornare a casa per una svista. La paura è tangibile, lo sa bene Bruno Modo, medico legale antifascista e sempre pronto all’azione: teme per la sua vita, teme per chi come lui non cessa di ribellarsi ma i tempi sono cambiati. Ecco che il personaggio del medico assume dei tratti mai visti nei precedenti romanzi: mancano le battute, i sorrisi e il tono quasi strafottente di criticare il Regime.
Tornano gli amati personaggi, tra tutti il brigadiere Maione alle prese con la sua numerosa famiglia. Credo che la famiglia del caro Raffaele sia un punto di forza in tutta la narrazione: al di là delle brutture della guerra, in casa Maione l’amore vince su tutto e non si fa comandare da nessuno.
È un uomo nuovo il Luigi Alfredo che ritroviamo oggi, non più ombroso e solitario, non più impegnato ad allontanare l’amore dalla sua vita. L’ha conosciuto quell’amore e tanto rapidamente lo ha perduto ma è un padre e il suo cuore ha abbandonato ogni remora per donarsi completamente alla piccola Marta, la sua bimba dai grandi occhi che tanto ricorda la mamma. Se gli occhi nel colore e nella forma sono di Enrica, lo sguardo avrà ereditato la dannazione del padre? Marta sarà libera dalla condanna?
Cinque anni non sono poi molti ma l’aria è densa di cambiamenti e imprevisti e i nostri personaggi sono diversi da quelli che abbiamo salutato con Il pianto dell’alba. Un richiamo a una terra lontana, un tango lento e doloroso e una voce che cerca di sfogare il triste ricordo di un amore mai davvero posseduto: è una vecchia conoscenza che ha deciso di cambiare vita e affidarsi alle note di un alto idioma per trovare un po’ di pace.
Caminito è un romanzo che si è fatto attendere e che ha risvegliato la magia delle storie di de Giovanni. Sapevamo dell’idea di un nuovo libro ambientato anni dopo la fine della guerra e invece l’autore ci ha sorpresi con un anticipo sui tempi, con una storia che ci fa sperare di leggere ancora e ancora del Commissario Ricciardi.
E noi continuiamo a sperare perché alcune storie non cessano mai di esistere e di andare in scena nel cuore e nella testa di chi le ha amate.