Trama
L’ultimo capitolo della saga di Peter McBride. La testa riversa da un lato, appoggiata alla corda ben stretta intorno al collo, la bocca aperta, contorta nella smorfia di un dolore ormai svanito, le braccia distese lungo i fianchi, i piedi inguainati in eleganti scarpe firmate, sospesi da terra. Sul pavimento, poco distante dal corpo, un biglietto: «Effetto Brexit. Suicidio di un broker». Proprio di fronte all’istallazione esposta in una galleria molto in voga della città, sfilano gli esponenti più celebri della comunità italiana a Londra. Diplomatici, imprenditori e aristocratici, presenti più per farsi vedere che per ammirare le opere. A pochi passi da lì, in un angolo nascosto, circondato da un capannello di curiosi, giace immobile un corpo, la gola squarciata da una ferita netta, gli abiti imbrattati di sangue. Apparentemente la più verosimile delle opere d’arte, in realtà si tratta del cadavere di uno degli invitati. Nel corso di pochi istanti tutto cambia, il panico si diffonde e l’elegantissima folla si trasforma in un unico organismo impazzito che per uscire da quel macabro luogo è disposta a tutto. L’indagine, affidata al detective Riddle, non è semplice: la vittima è uno dei più facoltosi e stimati imprenditori italiani espatriati a Londra, e le persone presenti alla serata, vicine a pezzi grossi della politica britannica, non amano che qualcuno si intrometta nelle loro vite. Saranno il detective McBride, ex ragazzo di strada poi riabilitato dalla polizia, e Alvaro Gerace, commissario bolognese, da anni sulle tracce di un serial killer, a collegare quella morte spettacolare a una serie di strane sparizioni di bambini che unisce Italia e Gran Bretagna.
Legge Massimo Ghigi
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Recensione a cura di Massimo Ghigi
“A regola d’arte” è il titolo dell’epico capitolo finale di un’appassionante trilogia realizzata dallo scrittore e giornalista Stefano Tura, iniziata nel 2014 con “Tu sei il prossimo” e proseguita poi nel 2016 con “Il principio del male”.
Un’opera sapientemente articolata questa, con ben tre nuclei investigativi impegnati su altrettante vicende che però, in un modo o nell’altro, sono tutte legate da un filo conduttore in una diabolica sequenza di cause ed effetti, come un malefico gioco del domino supervisionato da lui, il villain assoluto dell’intera trilogia: Filippo il pagliaccio! La caccia all’assassino di un imprenditore italiano si lega così alla ricerca di una bambina rapita, figlia di un capo-gang (rapimento che rompe i deboli giochi di forza tra gang con conseguente spargimento di sangue).
Dietro questo nome simpatico e tranquillizzante si nasconde un rapitore e assassino seriale di bambini dichiaratamente ispirato al personaggio di IT di Stephen King; se da un lato il mostro kingiano terrorizza per la sua natura soprannaturale, dall’altro il mostro di Tura inquieta nel profondo proprio per il motivo opposto, perché è terribilmente reale! Personalmente poi, sono ancora più scosso perché l’uomo che si cela dietro la maschera da pagliaccio è un mio concittadino, è nato a Cesena, vicino alla ridente riviera romagnola!
Lo stile di scrittura dell’autore è veramente “cinematografico” e ne è un esempio lampante il sensazionale inizio del libro; le pagine che ci introducono alla macabra galleria d’arte composta da opere truculente e scioccanti e quelle che, subito dopo, descrivono il rinvenimento del corpo sgozzato del ricco imprenditore italiano, in posa lì, alla stregua di una delle tante opere d’arte, sono veramente micidiali e d’effetto e ve lo dice uno che ha avuto la fortuna di ascoltarne la lettura dal vivo durante una presentazione del libro.
Altro pregio che ho sempre riscontrato nei libri di Tura è la caratterizzazione molto approfondita dei suoi personaggi; in questo libro in particolare siamo fatti partecipi delle dinamiche tra i vari nuclei investigativi che, tra momenti di scoramento e, in un certo qual modo di sfiducia, riescono alla fine a superare qualunque riserva e, unendo le forze, a sbrigliare con successo l’intricata matassa e tutto questo, non per avere un tornaconto o una promozione ma bensì per pura sete di giustizia per i deboli.
La narrazione è precisa, è una macchina perfetta dove le tre sotto-trame si incastrano tra loro senza alcuno sforzo per il lettore che riesce a seguire l’evolversi delle vicende molto facilmente; a scandire lo scorrere delle pagine ci sono poi dei colpi di scena inseriti, è il caso di dirlo, “a regola d’arte” e tra questi, finalmente, abbiamo la scoperta della vera identità di Filippo il pagliaccio!
Gli ultimi capitoli del libro poi, sono un’escalation di emozioni, il lettore viene veramente portato allo stremo insieme ai protagonisti della storia e arriva all’epilogo quasi privo di forze e con il cuore colmo di sensazioni contrastanti tra sollievo e tristezza (la conclusione delle vicende narrate lascerà profonde ferite nell’animo di tutti i personaggi), ma con una consapevolezza, quella di aver letto una storia assolutamente appassionante e coinvolgente!
Sono sincero, fatico ad essere obiettivo quando parlo o scrivo dei libri di Stefano Tura, perché mi piacciono tantissimo e seguo l’autore fin dai tempi del mitico “Il killer delle ballerine” (edito da Fazi nel 2001 e ormai introvabile su cartaceo!) ma mi sento di consigliare a cuor leggero la lettura di questo “A regola d’arte” e degli altri due libri della trilogia!
Alla prossima!
Dettagli
- Genere: Thriller
- Copertina rigida: 480 pagine
- Editore: Piemme (24 aprile 2018)
- Collana: Piemme
- Lingua: Italiano
- ISBN-10: 8856664194
- ISBN-13: 978-8856664195