Intervista a cura di Gino Campaner
Oggi nello spazio interviste ho il piacere di ospitare l’autrice Roberta Castelli. Benvenuta nel blog Giallo e cucina e grazie per avermi dedicato un po’ del tuo tempo.
Sono molto felice di poter finalmente chiacchierare un po’ con te. Aspettavo questo momento da un po’. Se devo essere sincero fin da quando finiì di leggere La traccia del pescatore (sorrido), il romanzo con la prima indagine del commissario Vanedda, che però non era alla sua prima indagine in assoluto e neppure il tuo primo romanzo. Ma andiamo con ordine. Prima di parlare diffusamente dei tuoi libri, e di tante altre cose interessanti, ti faccio qualche domanda di carattere generale, per conoscerti un po’ meglio. Sono le domande che io chiamo “necessarie”, forse un po’ banali, ma che io, che sono un gran curioso, devo per forza fare. Pronta? Allora Roberta raccontaci un po’ di te dove nasci e dove vivi attualmente, la tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi dicci come nasce l’idea di scrivere romanzi.
Ciao Gino e grazie a te per il tempo e lo spazio che mi stai dedicando. Collocarmi geograficamente non è semplice: sono nata in provincia di Torino da genitori siciliani e, dai due anni di età, ho vissuto ad Aci Castello, in provincia di Catania. A vent’anni, dopo avere frequentato il liceo scientifico, ho lasciato la Sicilia per trasferirmi a Milano e da lì in poi non ho smesso di girare: Lombardia, Toscana, Germania e attualmente mi trovo a Vienna, in Austria. Permettimi però un po’ di amor patrio dicendo che il mio cuore e la mia anima sono al cento per cento siciliani. Per tantissimi anni ho lavorato nel mondo delle vendite al dettaglio, che ho abbandonato all’estero ma che spero di riabbracciare rientrando in Italia. L’idea di scrivere romanzi non nasce in un preciso momento ma è un lungo percorso che trova origine nella mia voglia di condivisione; ci sono storie, persone, luoghi e anche ingiustizie che, per merito o demerito, meritano un grande faro puntato contro.
Oltre a scrivere sei anche una lettrice? Hai un genere preferito? Preferisci gli ebook o il libro cartaceo?
Certo, non credo sia possibile dedicarsi alla scrittura senza la voglia di immergersi in quella degli altri, con curiosità ma anche con il profondo desiderio di apprendere. Per me i libri sono una piacevole palestra, un luogo dove posso allenare il mio stile con l’intento di renderlo migliore. Nello stesso tempo, ogni storia mi permette di viaggiare e di vivere infinite vite, che regalano altrettante emozioni. Pur non avendo un genere preferito, non amo i libri che ostentano una scrittura piena di orpelli, risultando però privi di anima. La letteratura deve nutrire i cuori, oltre che le menti, e non è possibile raggiungere questo obiettivo cedendo alla vanità. Per quanto riguarda l’ultima domanda, leggo anche gli ebook, per praticità e per non dilapidare il mio conto in banca, ma preferisco il cartaceo e sono un’annusatrice di pagine senza possibilità di redenzione.
Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?
Ti rispondo citando il grande Stephen King, che nel libro On Writing scrive: “Sono sicuro che le storie prendano forma quasi da sole. Il compito dell’autore è dare loro un posto dove crescere.”
Ti è capitato sicuramente di presentare un tuo libro in pubblico. In quel frangente preferisci un moderatore che ti pone le domande “giuste” o preferisci lasciare far fare le domande direttamente al pubblico?
Non esistono domande “giuste” e sono entrambe figure necessarie: il moderatore sa cosa chiedere per raccontare il libro senza cadere nel grande pericolo rappresentato dallo spoiler; il pubblico invece, forse con un trasporto emotivo maggiore, pone quasi sempre domande che vanno a toccare la sfera affettiva e personale di chi ha scritto l’opera. Durante una presentazione siamo tutti tessere necessarie di un bellissimo mosaico.
Da dove nascono le tue storie? Elabori notizie che leggi o sono esclusivamente di fantasia? I personaggi dei tuoi libri sono ispirati da persone reali?
La realtà è una fonte inesauribile di ispirazione e riesce sempre a superare le nostre più sfrenate fantasie. La parte romanzata serve solo a renderla meno sgradevole o più enfatica, dipende dal contesto che voglio descrivere. I personaggi invece, per quanto siano del tutto frutto della mia fantasia, il più delle volte racchiudono l’essenza di persone che hanno incrociato il mio cammino, lasciando un segno. In quest’ultimo romanzo, per esempio, la figura del sovrintendente Pierluigi Falco prende vita per omaggiare un mio amico poliziotto, che purtroppo ci ha lasciati da poco e troppo presto. Il personaggio di Vanedda senior invece, padre del commissario, è dedicato a mio nonno.
Come di consueto prima di parlare approfonditamente dei tuoi romanzi ti faccio la solita domanda sulle case editrici e il tuo rapporto con esse. Scusami ma anch’io ho le mie fisse. Il tuo primissimo romanzo, Eppure me lo avevano detto, lo hai auto pubblicato giusto? Io sono un fautore del self publishing, per un emergente direi (è il mio pensiero) che è quasi la strada obbligata. Tu cosa ne pensi a proposito?
Penso che il self publishing sia una buona occasione per farsi conoscere ma credo anche che rappresenti un’arma a doppio taglio. I rischi spesso superano i vantaggi e i punti a sfavore sono tanti. Il primo è la totale mancanza di supervisione da parte di chi ha una competenza maggiore, rispetto alla nostra, per quanto concerne la costruzione di un romanzo. Inoltre c’è la sempre incombente minaccia dei refusi, che nei libri auto pubblicati spesso proliferano, rendendo spiacevole la lettura. Questi due motivi mi portano a elencare il terzo: nel caso di una nuova pubblicazione, se l’intento è quello di trovare una casa editrice seria, il self publishing non rappresenta una referenza, perché chiunque, anche chi scrive male, può pubblicare usando quella modalità. Come hai ben detto, ho fatto quel tentativo molti anni fa, ma è un percorso che ho abbandonato perché non mi avrebbe permesso di crescere. Ho preferito prendere la strada in salita, per il grande rispetto che provo sia verso la scrittura che verso i lettori.
Poi nel 2019 hai scritto una storia per una raccolta di racconti, (Il tallone di Achille) pubblicata dalla Golem edizioni, con il commissario Vanedda. Quella è stata la sua prima indagine. Da lì è nata l’idea di scrivere un intero romanzo con lui protagonista. E così è anche proseguita la tua collaborazione con la Golem. Forse non ho detto tutto correttamente. Mi puoi dire tu come è andata?
Esatto! Nel 2019 ho scritto un racconto noir per partecipare a un concorso indetto da Golem Edizioni. In quell’occasione ho voluto raccontare, usando sempre un contesto romanzato, un terribile fatto accaduto ad Aci Castello nel 2003: l’uccisione del sindaco e di altre quattro persone da parte di un abitante del paese, che poi si tolse la vita. Fu un evento che sconvolse la comunità Castellese e che nessuno di noi potrà mai dimenticare. Vanedda nasce dalla necessità di avere in quella storia un commissario impegnato a risolvere il caso; con lui, in quell’occasione, vede la luce anche Giuseppe Vaccaro, sua inseparabile spalla. In seguito, un po’ per gli apprezzamenti ricevuti e un po’ per la voglia di raccontare la mia Sicilia, ho deciso di scrivere un intero romanzo dedicato alle indagini del commissario.
Passiamo finalmente a parlare del romanzo, La bambina di cera. Raccontami un po’ la trama, chi sono i personaggi principali. Mettici un po’ di curiosità addosso.
La bambina di cera, oltre a rappresentare i tanti aspetti della Sicilia, parla di rapporti e di come l’amore, troppo spesso, finisca per trasformarsi in odio, generando tragedie. In contrapposizione al lato negativo di questo sentimento però troviamo anche gli affetti puri, costretti a combattere ogni giorno contro diffidenze e pregiudizi. Questa nuova indagine vede Vanedda al centro di un mistero complicato da risolvere, che lo porta a indagare fino a Palermo, dove si trovano le famose Catacombe dei Cappuccini e la fantastica mummia di Rosalia Lombardo. Conosco da molti anni la storia di quella bambina e provo tenerezza verso un padre che, incapace di accettare la morte dell’adorata figlia, ha fatto il possibile per renderla immortale, affidando il piccolo corpo ad Alfredo Salafia, noto imbalsamatore. Ad accompagnare il commissario in questa nuova avventura troviamo come sempre l’ispettore Vaccaro, suo fidato collaboratore; Gerlando, l’uomo con il quale condivide la vita; Mauro Vanedda, il padre che lo ama ma non è in grado di accettarlo fino in fondo e il professore Gregorio, figura di riferimento essenziale per Vanedda. Inoltre, c’è un nuovo arrivo, quello del sovrintendente Pierluigi Falco, che diventa suo malgrado motivo di grande scompiglio. Insieme a loro non può mancare Carmela, la donna delle pulizie innamorata di Vanedda che, come direbbero in Sicilia, lo fa “uscire pazzo”; immancabile anche il prezioso supporto dell’agente Catena Caruso e, forse meno prezioso, ritroviamo anche Mimmo Strano, la spina nel fianco del commissario.
La città teatro delle vicende raccontate nel libro, così come anche di quello precedente, si chiama Lachea nome nato dalla tua fantasia. Paese collocato vicino ad Acitrezza, che è in provincia di Catania. La Sicilia offre tante città piene di cultura e di storia perché tu per ambientarci i tuoi romanzi hai deciso di inventarla?
Lachea non è una città ma un paese affacciato sul mare che, nella realtà, è Aci Castello, in provincia di Catania. La Sicilia, come hai ben detto, offre tante città piene di cultura e nei miei libri sono sempre presenti. Nel primo, La traccia del pescatore, parlo di Catania, delle sue meraviglie e della famosa festa di Sant’Agata, patrona della città; in questo secondo romanzo invece troviamo anche Palermo, altra bellissima città siciliana che tutti conoscete. E poi c’è Aci Trezza, patria dei Malavoglia; c’è Acireale, ricca di storia, miti e leggende. Nessuno di questi nomi è inventato, tranne quello del paese in questione, che non è comunque del tutto privo di nesso: Lachea infatti è un isolotto che si trova di fronte ad Aci Trezza e che fa parte dell’arcipelago dei Ciclopi. Il motivo di questa scelta è semplice da spiegare: un luogo inventato, anche se rispecchia benissimo quello reale, mi permette di giocare con il romanzo e mi regala la libertà di inserire a mio piacimento anche elementi che non esistono. Inoltre, è un modo per tutelare gli abitanti di Aci Castello, che per nessun motivo devono sentirsi tirati in causa, visto che i personaggi sono frutto della mia fantasia.
In questo romanzo si parla anche di storia della Sicilia e di un fatto in particolare. La storia che origina poi l’indagine racconta di una vicenda antica e dolorosa. E’ vera? Da come descrivi i luoghi e le sensazioni che vivono i siciliani traspare il grande amore che hai per questa terra e tu in realtà non sei neppure siciliana…
Certo che sono siciliana, e non solo per le origini della mia famiglia, senza ombra di dubbio meridionali, ma soprattutto perché quella è la terra che mi ha visto crescere, facendo di me la donna che sono. Il luogo di nascita, nel mio caso, è un fattore relativo che, pur amando il Piemonte, non mi rende una torinese. Ho radici ben salde, ancorate con anima e cuore nella mia trinacria bedda. Essere siciliani è un concetto difficile da spiegare perché rappresenta uno stile di vita, un modo unico di vivere le emozioni e di affrontare gli ostacoli della vita. Ne vado molto fiera; anche quando io e la mia amata isola litighiamo, come fanno le coppie che si lasciano, pur amandosi ancora. Per tornare alla prima domanda, sì… nel libro ci sono diversi riferimenti storici, relativi a fatti realmente accaduti e che potete con facilità approfondire, se hanno attirato la vostra attenzione.
Se vuoi aggiungi pure tu qualche informazione sul libro che ci tieni a far sapere ai lettori e di cui non abbiamo parlato
Informazioni no, perché parlare troppo della trama di un libro rischia di rovinarne la lettura. Voglio però aggiungere un pensiero: i libri vanno quasi sempre oltre la storia che raccontano, oltre la trama gialla e oltre quello che, al primo sguardo, è sotto gli occhi di tutti. C’è sempre un’anima da ricercare tra le pagine, e io spero che troviate la mia.
Siamo giunti al termine della tortu..ehm dell’intervista. Mi restano solo due cose da chiederti. Sei ospite del blog Giallo e cucina e qui le interviste terminano sempre con due domande obbligatorie: la prima non è proprio una domanda ma un pensiero gentile. Consiglia, oltre al tuo libro, almeno altri due romanzi che ti hanno colpito, o a cui sei particolarmente legata, e che vorresti che tutti leggessero.
No, non è stata una tortura e devo farti i complimenti per il tuo sincero interesse. Certo, hai rischiato di uccidermi dicendo che non sono siciliana, ma so che ti farai perdonare! Per rimanere in Sicilia, voglio consigliare i romanzi di due bravissime autrici siciliane: L’amurusanza, di Tea Ranno e Picciridda, di Catena Fiorello.
E poi, per onorare il termine cucina nel nome del nostro blog, parlaci di un piatto, una pietanza a cui sei particolarmente legata o che semplicemente ti piace molto mangiare.
Rispondere a questa domanda è davvero difficile, perché amo mangiare e non solo piatti siciliani. Però, per citarne uno, ti dico che sono follemente innamorata del falso magro, nel dialetto della mia zona fassu màuru. È un meraviglioso arrotolato di carne ripieno, che almeno una volta nella vita dovete assaggiare e che mi riporta alla mia infanzia. Ecco… adesso hai stimolato una voglia che al momento non posso soddisfare!
Ti ringrazio della bella chiacchierata e della disponibilità, ti auguro tanta fortuna.
Io ringrazio di cuore te e tutto lo staff di Giallo e Cucina. Il vostro supporto è prezioso.
Di nuovo grazie. Complimenti e a presto.