Oggi Parliamo Con...

Stefano Cordoni

Intervista a cura di Francesca Panzacchi

Abbiamo il piacere di ospitare un nuovo scrittore della scuderia Damster – Comma21.

Benvenuto Stefano, raccontaci qualcosa di te.

Oltre a – ahimè – lavorare, sono appassionato di musica e suono in vari locali a Bologna con una band jazz-swing.

 

Quando è nato il tuo desiderio di scrivere?

Ci pensavo un po’ di tempo fa. Sono stato sempre uno che cercava di capire cosa c’era dietro le cose, ad esempio come potevano essere concepiti i loghi delle grandi aziende sportive oppure come venivano strutturati i fumetti. Alle superiori disegnavo storie a fumetti che conservo tuttora, già allora cominciavo a tessere trame di racconti. Sempre alle superiori mi inventai un breve romanzo piuttosto stupido nel quale i personaggi erano i miei compagni di scuola (il protagonista era l’ispettore Steve Cordoni in sella a un Motron, e ho detto tutto…). Poi durante l’università scrissi il mio primo successo (per i parenti e amici, s’intende), le “Piccole nefandezze di vita bolognese”, un resoconto piuttosto ironico delle vicende di noi studenti universitari fuori sede. Ovviamente tutto questo per divertirmi, invece la molla è scattata con la volontà di fare un regalo a mio padre per il suo compleanno, mettendo per iscritto una vicenda che mi aveva raccontato quando ero piccolo, e che riguardava la sua infanzia. La feci leggere a un mio amico (che ringrazio anche nel libro) che stava provando ad entrare in qualche modo nel mondo dell’editoria e mi diede dei consigli, mi costrinse anche a leggere alcuni libri sulla scrittura e mi esaltò a tal punto che mi misi a scrivere altri racconti. Per inciso, quel primo racconto poi è stato inserito in una antologia della casa editrice Historica.

 

“Noi siamo il buio” è il tuo primo romanzo?

No, sono stati pubblicati alcuni racconti in varie antologie. Uno di questi era stato già notato dalla Damster, e inserito all’interno di una raccolta qualche anno fa.

Il mio primo romanzo per ragazzi “Richi e la banda dei videogiochi” è stato pubblicato dalla Di Marsico Edizioni e rifletteva la mia personale battaglia (persa, direi…) contro i videogiochi e la loro influenza sui ragazzi (nel caso specifico, i miei due figli). Molto carino e molto educativo, credo.

Poi ho pubblicato “Il patto”, con la Ef Edizioni di Cinisello Balsamo, un noir ambientato a Bologna, che mette l’accento sui pericoli di certa tecnologia, con tante informazioni curiose e interessanti. Il romanzo è strutturato come diario del protagonista, di lettura piuttosto veloce e carico di tensione.

Infine “Noi siamo il buio”, nel quale ritengo che la mia scrittura sia molto maturata.

 

Cosa puoi dirci a proposito della trama?

Qual è la vita dei barboni quando non li vediamo? Dove vanno e cosa fanno? Ci odiano o gli siamo indifferenti? Sono buoni o sono cattivi? Mi sono immaginato la storia di un ragazzo che con due suoi amici molesta un barbone e poco dopo se lo ritrova sulla sua strada, ma questa volta lo vede diverso, con gli occhi talmente chiari che sembrano brillare, e con un machete in mano. Inizia un inseguimento mozzafiato per i vicoli di Napoli fino a che il ragazzo viene catturato e portato nei sotterranei della città dove c’è tutto un mondo a sé stante, con personaggi secondo me molto azzeccati. Il romanzo racconta questo mondo di sotto, i tentativi di fuga del ragazzo, e l’arrivo di uno strano personaggio chiamato “L’Ombra”, in grado di risvegliare istinti e voglia di rivalsa in questo mondo di reietti. Vengono descritte anche le ricerche del ragazzo da parte della famiglia e del padre del ragazzo – vicesindaco di Napoli.

  

Come hai costruito il profilo psicologico dei personaggi?

I personaggi tendo a costruirli mano a mano che la storia si sviluppa. Il protagonista, Checco, doveva essere un comune ragazzo di diciassette anni affascinato, come spesso accade a quell’età, da qualcuno dei bulli più grandi e che si trova in quel particolare periodo nel quale deve prendere una decisione, se seguire le loro gesta oppure distaccarsene. L’avventura lo porterà a maturare e a scegliere la strada giusta. Anche per Lauretta, la ragazzina undicenne intrappolata nei sotterranei, ho immaginato come una bambina reagirebbe ad una situazione anomala, facendo leva però sulla straordinaria capacità di adattamento dei bambini. Una storia che mi ha colpito durante la visita nei sotterranei di Napoli e ha contribuito a creare il carattere del personaggio è questa: durante la seconda guerra mondiale i sotterranei venivano utilizzati come rifugi durante i bombardamenti e un anziano raccontava che era felice quando ciò avveniva perché lui e gli altri bambini, in quel momento di tensione, venivano lasciati liberi di giocare senza essere ripresi dai genitori. I bambini continuano ad essere tali e a fare le cose che fanno sempre i bambini!

 

Tre motivi per cui vale la pena leggerlo?

– La storia è serrata e ho utilizzato il cliffhanger, cioè la tecnica di lasciare in sospeso nel pieno di un momento culminante un’azione per rientrare nell’altra. Mi resi conto di questa tecnica a 14 anni leggendo i bellissimi fumetti di Tarzan disegnati da Russ Manning.

– L’ambientazione nei sotterranei di Napoli. Ne avevo sentito parlare e ci sono andato appositamente facendomi raccontare tutto il possibile dal mio amico scrittore e grandissimo conoscitore della Napoli esoterica Maurizio Ponticello (i suoi libri su Napoli sono veramente una miniera di aneddoti e curiosità). Ecco, l’ambientazione e la storia che si svolge proprio sotto di noi credo sia uno dei punti di forza del libro. Chi non conosce Napoli sotterranea vada a dare un’occhiata su Internet e si renderà conto della suggestione di questi luoghi.

– La lettura è trasversale. È una storia che può piacere a tutti e può essere letta su più piani. I personaggi femminili li amo particolarmente (oltre all’undicenne Lauretta, la sorella del protagonista ha una piccola parte nella storia ma decisiva, dimostrandosi più forte di tante figure maschili che la circondano).

 

Quanto tempo hai impiegato per la stesura?

Non posso quantificarlo con precisione, la mia scrittura è molto discontinua. Ci sono periodi in cui scrivo molto e altri in cui passa del tempo senza che mi metta al computer.

Dove scrivi? C’è un luogo particolare nel quale trovi ispirazione?

All’Università mia sorella si arrabbiava perché riuscivo a mettermi a studiare con profitto anche solo avendo venti minuti a disposizione perché non avevo bisogno di eccessiva concentrazione per entrare in un argomento. Scrivo quando mi va, ma un appuntamento quasi fisso è quando accompagno i miei figli a fare le partite il sabato o la domenica. Considerato che devono andare al campo un’ora e mezzo prima, io mi porto dietro il computer e in auto sfrutto quel tempo morto andando avanti con le mie storie.

Cosa ami leggere? E se devi regalare un libro come lo scegli?

Attualmente sono in una fase di grossa indecisione. Dopo aver letto per anni thriller cerco di spaziare lasciandomi guidare dalle sensazioni del momento. E allora scelgo libri ironici (Baccomo, Morozzi), talvolta libri storici e poi qualche classico. Poi quando voglio qualcosa che mi appassioni, da leggere in pochi giorni, torno ai thriller, come l’ultimo di Dean Koontz.

Quando regalo libri mi sforzo di non scegliere libri che piacciono a me ma di adattarli alla persona alla quale li devo regalare.

Il tuo sogno nel cassetto?

Non ho sogni particolari, l’importante è avere sempre qualche progetto su cui lavorare che mi appassioni.

Che consiglio daresti a chi vorrebbe pubblicare il suo primo romanzo?

Ne do due. Il primo è quello che mi diede Gianluca Morozzi quando, dopo avergli inviato le prime pagine de “Il patto”, mi chiese di mandargli anche il resto per sapere come finiva: “Non mollare mai, e continua a mandare il romanzo alle case editrici. Anche io ho ricevuto centinaia di rifiuti all’inizio”. Poi, fra l’altro, Gianluca è stato molto gentile e mi ha scritto un breve commento che abbiamo inserito nella copertina del libro.

L’altro, se posso permettermi, è quello di non pubblicare mai a pagamento. Altrimenti che gusto c’è?

Grazie per la bella chiacchierata, ci regali una citazione e una ricetta?

“Tutte le decadenze in tutti i luoghi e in tutti i tempi sono contrassegnati dai medesimi fenomeni: decadimento dei costumi, accresciute distanze sociali fra un numero sempre più piccolo di privilegiati e una massa sempre più grande di derelitti, affievolimento di ogni vincolo di solidarietà e totale indifferenza di tutti gli interessi della comunità…”

E‘ una frase di Indro Montanelli e Gervasio in Storia d’Italia, cose scritte quasi cinquant’anni fa ma che fanno un po‘ riflettere pensando al mondo di oggi. Non a caso l‘ho inserita anche in “Noi siamo il buio”, considerato gli argomenti che tratta…

Per la ricetta se vuoi ti do i miei due cavalli di battaglia di quando ero studente universitario e che quindi vanno benissimo per i semi-neofiti in cucina. La prima, che ha origini marchigiane (nel senso che era marchigiano il ragazzo che lo faceva), è il fumè:

– in una padella bassa far rosolare la pancetta nell’olio, poi aggiungere conserva di pomodoro, sale e pepe. Quando il sugo si è un po’ ritirato, alla fine, aggiungere la panna. Il sugo così denso, con la pancetta, sulle pennette è buonissimo!

L’altra, sempre dei tempi universitari, non so se ha un nome ma è sempre copiata dai ragazzi che allora abitavano con me.

– Tagliare un po’ d’aglio a pezzi piccolissimi e inserirli fisicamente col pollice all’interno di fettine sottili. Salare e cuocere le fettine mettendoci sopra una sottiletta sino a che non si scioglie leggermente. Aggiungere poi peperoncino a volontà.

Il sughetto piccante con aglio, olio e sottiletta è perfetto per scarpetta in grandi quantità!

Grazie Francesca di avermi ospitato e un saluto a tutti!

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