Oggi Presentiamo...

Roberto Mistretta

Intervista a cura di Marika Campeti

Roberto Mistretta

Buongiorno Roberto, la redazione di Giallo e Cucina ha letto di recente l’antologia di racconti Giallo siciliano, ci è piaciuta molto e vorremmo saperne di più. Grazie per averci concesso un po’ del tuo tempo.

Buongiorno a voi e grazie per l’attenzione e il privilegio di essere stati letti dalla vostra redazione.

Vorrei chiederti come hai scelto i 15 autori che hanno partecipato a questa raccolta. 

La scelta è stata dettata dalla qualità. Di alcuni autori avevo letto praticamente tutto, anche gli inediti, di altri soltanto gli scritti pubblicati. Molti autori li conoscevo personalmente, altri mi sono stati presentati dagli stessi autori. Scelta felicissima. Per ogni autore parlai infatti la sua scrittura.

I racconti presenti nell’antologia sono molto diversi tra loro, non solo per le ambientazioni, ma anche per i registri stilistici e le linee temporali scelte. Hai dato alcune direttive agli autori?

Ci siamo dati delle direttive generali dalle quali non si poteva prescindere: lunghezza e ambientazione isolana. Ogni autore però è stato lasciato libero di esprimersi coi propri personaggi e diversificare location e temporalità. La Sicilia, lo ricordo, è una delle regioni più grandi d’Italia e conta nove province di cui solo una non ha sbocchi sul mare, Enna; tre vulcani attivi e uno sommerso di fronte a Sciacca, isole minori e da sogno a farle da corollario, cinque catene montuose, città patrimonio dell’umanità e un passato storico tutto da riscoprire. E non parliamo della cultura enogastronomica e letteraria. Va da sé che con tanto ben di Dio sotto mano, ogni scrittore trova di che raccontare e raccontarsi.

Come curatore cosa si prova nel vedere un prodotto corale finito, e finalmente pubblicato?

I libri sono come figli di carta che curi e culli tra le mura sicure dove sono stati concepiti e cresciuti. Poi appartengono al mondo, ai lettori. La fatica e l’impegno certo non sono mancati e ho lavorato sodo, ma ho trovato piena collaborazione negli autori che hanno risposto puntualmente alle sollecitazioni rendendo davvero corale Giallo Siciliano. Condivido perciò con tutti loro e con l’editore la soddisfazione di avere dato vita a un’antologia che profuma di Sicilia anche solo dal titolo e che ho seguito passo passo, con la trepidazione di un padre, fino alla sua pubblicazione.

A pochi giorni dalla pubblicazione Giallo Siciliano è svettato in cima alle classifiche di Amazon, questa è sicuramente una bella soddisfazione. Il lavoro di squadra e la passione di tutti vi ha certamente premiato. Sei d’accordo con me nel dire che oggi è davvero importante la collaborazione tra autori piuttosto che il coltivare il proprio orticello?  

Ho sempre creduto nella collaborazione tra scrittori, anche se in questo campo come in tutti gli altri, del resto, certo non difettano rivalità e invidia. Piccole meschinità che son ben lontani dal mio modo di essere e chi mi conosce ne può dare testimonianza. Ho creduto da subito a questo progetto comune fatto di sogni e passione e s’è creata una perfetta sinergia tra professionisti della scrittura, neofiti e finanche esordienti.  Giallo Siciliano ne è la riprova. E se è vero che la scrittura è una faccenda personale, che si scrive da soli con se stessi per tirare fuori il mondo che s’ha dentro, è altrettanto vero che quel mondo appartiene a tutti nel momento in cui diventa vivo e palpitante e trova esistenza scritta e pubblicata.  Ben vengano dunque i festival letterari, gli incontri, i confronti. Le antologie. Nessun scrittore è un’isola, quella lasciamola a chi non legge.

Sai che io ho origini siciliane? I miei nonni sono entrambi della provincia di Catania e ho letto i racconti con appassionata nostalgia. Una Sicilia che si mostra in molteplici vesti. Ci vuoi raccontare la tua Sicilia in poche parole?

La Sicilia bisogna viverla e tu che hai origini siciliane e che certo sarai tornata più volte a tali origini, ne puoi sapere qualcosa. In tanti la raccontiamo, a volte come madre, altre volte come matrigna, ma noi che siamo suoi figli soffriamo quando vediamo questa madre così rigogliosa e florida piegata agli interessi di pochi lestofanti dalla parola lesta e dallo sguardo sfuggente, sottomessa alle ipocrisie di chi dice di amarla e invece la fotte senza ritegno, maltrattata da una sparuta minoranza di malacarne che fa tanto folklore e, purtroppo, insieme coi cannoli ha esportato nel mondo la parola mafia con cui chi non la conosce identifica la Sicilia e i siciliani.  Io non sono mafioso e come me non lo sono altri milioni di siciliani perbene, e basti citare i tantissimi che sono morti per combattere contro questo infido parassita che succhia il sangue dei siciliani onesti.

Un tassista romano, Romolo, che era stato in Sicilia per una settimana, anni fa mi disse: “Io non capisco come fate voi siciliani a non vivere di turismo 366 giorni all’anno su 365.” Me lo disse mentre mi accompagnava ai Musei Vaticani con la mia famiglia. Ecco, finché noi siciliani non saremo capaci di dare risposta a quella domanda di un tassista romano che vede il mondo intero passare nel suo taxi, continueremo a piegare la nostra meravigliosa madre terra a un ruolo talmente negletto che dovrebbe fare arrossire di vergogna chi ha il dovere istituzionale di fare e non fa, e dovrebbe stimolare ancora di più noi creativi a impegnarci con maggiore vigore per la nostra Sicilia. Solo chi crede ai sogni li realizza, un pezzetto alla volta. Come Padre Pino Puglisi.

I quindici racconti hanno la capacità di trasportare il lettore in luoghi che si vivono, non solo si leggono. A me è sembrato di sentire davvero i profumi e i sapori di una terra che, anche se lontana, ha plasmato le mie radici. Diamo qualche consiglio di scrittura, come si può rendere vivo un racconto?

Il racconto è un’istantanea. A differenza del romanzo che ha piani narrativi più distesi e descrittivi che consentono agli autori di dispiegare le proprie abilità per pagine e pagine, il racconto fotografa una specificità, una situazione, un contesto, e ne coglie l’insieme e i dettagli. Il lettore dev’essere immediatamente catapultato là dove sono i personaggi, senza divagazioni. E non si cada nell’errore di valutazione che la brevità aiuta, perché un autore si gioca in poche pagine la propria credibilità. Proprio per tale motivo la storia raccontata deve incidere a fondo nel lettore e lasciare il segno. O profumo di Sicilia, come in questo caso.

Sei uno scrittore davvero prolifico per il genere giallo, e Giallo e Cucina è un blog appassionato del genere. Secondo te cosa non dovrebbe mai mancare in un giallo?

È una domanda tecnica e quindi cercherò di dare una riposta tecnica seppure stringata.  In un giallo non può mancare il delitto la mano assassina, il movente, l’investigatore.  Se i morti sono più di uno tutta la storia diventa ancora ancora più intrigante. Cosa distingue dunque il giallo canonico dall’altro genere assai praticato, ovvero il noir? Nel giallo classico il punto centrale di tutta la narrazione è l’enigma. Nel tacito ma risaputo patto tra autore e lettore si instaura una sfida che dura dall’invenzione del giallo: io, autore, ti do tutti gli indizi che ha l’investigatore. Tu, lettore, se sei abile e perspicace come dici (o credi) di essere, devi arrivare alla sua stessa conclusione logica e incontrovertibile che ti permetterà di individuare il colpevole. Chi conosce Ellery Queen teme sempre il momento in cui lancia la sua sfida al lettore. Provare per credere col racconto “L’avventura dell’orologio sotto la campana di vetro”, la cui soluzione è un   rompicapo irrisolvibile ma innegabilmente logico. Oppure col romanzo “Le tre bare” di Dicknson Carr.  Enigmi che appaiono impossibili ma non lo sono e sta tutta lì l’abilità dell’autore. E se non mi credete sulla parola, leggeteli e mettetevi alla prova. Anche nel noir non manca l’enigma ma all’autore preme soprattutto raccontare le atmosfere e si concentra sul lato oscuro della pulsione omicida, sulla personalità di chi indaga e di chi ha commesso gli omicidi. Va da sé che da questa differenza sostanziale dipende la caratterizzazione dei personaggi, delle atmosfere, dell’ambientazione.  In Giallo Siciliano trovate entrambi i generi…e non solo, ché le declinazioni del poliziesco sono molteplici e tutte diversamente intriganti. A chi vuole saperne di più mi permetto di suggerire “Scrivere il giallo e il nero” di Laura Grimaldi, storica direttrice del Giallo Mondadori.

Tornando a Giallo Siciliano, avete in programma delle presentazioni per l’estate? Facciamo un po’ di pubblicità, così i nostri lettori sapranno dove trovarvi. 

L’entusiasmo è alle stelle e a parte le presentazioni personali che ogni autore sta organizzando, abbiamo diversi appuntamenti. Tra i primissimi quello della prossima settimana con Radio Fantastica; il 16 giugno saremo ospiti di Eliana Chiavetta a Radio In, insieme a Giorgio Lupo; il 21 giugno intervista con Fiammetta Rossi per Deejayfoxradiostation;  Il 22 giugno diretta di WMI con tutti gli autori nell’incontro coordinato da Marika Campeti e Claudia Cocuzza: a luglio, data da definire, saremo ospiti a Lentini; il 20 luglio al Festival del Giallo Agrigento Noir. Già in agenda il Termini Book Festival a Termini Imerese dal 2 al 4 settembre e da definire non pochi altri inviti.

Una domanda per aiutare chi sogna di diventare scrittore. Oggi emergere come scrittore è molto difficile, hai un consiglio da dare a chi vuole realizzarsi nella scrittura? Cosa diresti a chi ha un romanzo nel cassetto?

Crederci, crederci, crederci e mai mollare. Oggi la tecnologia aiuta moltissimo e un autore agli esordi ha soltanto l’imbarazzo della scelta per veicolare il proprio romanzo. Il problema vero, semmai, è che si scrive tantissimo e gli editori sono sommersi da richieste di pubblicazione. Dagli ultimi dati del 2021 in Italia risultano pubblicate ben 85.551 novità, oltre 7.000 libri al mese, vale a dire 234   al giorno, domeniche e festivi compresi. Un diluvio di pagine scritte. Cosa può fare dunque lo sconosciuto scrittore per farsi conoscere in questo oceano di parole di tutti i tipi e per tutti i gusti?  Una storia forte, bellissima, da premio, troverà mai la strada per farsi largo e arrivare alla pubblicazione? Ai lettori? A volte succede, molte volte no. La storia dell’editoria è piena di aneddoti simili. Più volte, ad esempio, ho raccontato come Camilleri fosse stato snobbato non poche volte prima di diventare il Camilleri che tutti conosciamo a 72 anni suonati, al punto che il suo primo romanzo poliziesco con protagonista il maresciallo Corbo, venne pubblicato da una minuscola casa editrice romana a pagamento (ma lui non pagò).  La prima cosa, dunque, è crederci e trovare il modo di farsi notare. Se in una stanza piena di palloni bianchi ce n’è uno giallo, l’occhio quello nota. Poi è chiaro che a fare la differenza sarà la qualità della scrittura, il progetto che ci sta dietro, la potenza delle storie narrate. Esistono diversi concorsi seri che danno la possibilità di essere letti da giurie di qualità. Per restare nel nostro ambito, il Giallo Mondadori, che ha fatto la storia del genere in Italia, è partner di diversi concorsi letterari che premia il miglior racconto con la pubblicazione sulle sue pagine e ogni anno anche il miglior romanzo inedito col Premio Tedeschi. Avviene analogamente con altri editori partner di altri concorsi, penso a Ceresio in Giallo o a NebbiaGialla. Il discorso vale per tutti gli altri ambiti. Vi sono dei contest e dei tornei letterari anche sul web che premiano chi vince con la pubblicazione. La rivista letteraria WMI organizza un analogo concorso, pubblica i vincitori e mette le foto dei premiati in copertina. Certo esiste anche il tradizionale invio dei testi alle case editrici, ma in quel caso bisogna munirsi di molta pazienza. O trovarsi un buon agente letterario, ma occhio alle truffe. Questo mondo è infido e pieno di squali che cercano tonni da divorare. Mai pagare per farsi pubblicare.  MAI!

E ora parliamo di te. Dopo Giallo siciliano, quali sono i tuoi prossimi progetti?

Ritroveremo presto Franco Campo, il protagonista del racconto “Il manoscritto di Quasimodo” in Giallo Siciliano.

Lo ritroveremo in “Trappola per topi” in uscita a luglio sul Giallo Mondadori, racconto lungo ambientato a Manfreda. Franco Campo è un giornalista giovane e idealista affetto dalla sindrome del cavaliere, qualità fin troppo ingombrante in una certa Sicilia, ma direi in tutte le latitudini dove si delinque.

A settembre poi, in occasione del suo 70simo compleanno, vedrà la luce con le Paoline un nuovo saggio su Rosario Livatino, il primo giudice beato, assassinato il 21 settembre 1990. Un lavoro lungo e complesso che mi è costato mesi di fatiche, di letture di molteplici sentenze, di ascolto di testimonianze nelle aule dei tribunali, visione di filmati. Un lavoro impegnativo che tuttavia mi ha permesso di rinvenire materiale assolutamente inedito e portare alla luce nuovi aspetti della personalità del giudice, notoriamente riservatissimo, al punto che non si fece mai fotografare da giudice in servizio né rilasciò mai interviste.

 Quindi, a ottobre, come faccio fin dal 2017, darò il mio contributo con un racconto del maresciallo Bonanno, “Vengo anch’io”, all’antologia in memoria dell’editore Marco Frilli. Per il 2023 ci sono tanti progetti in itinere, ma è troppo presto per parlarne.

Il tuo sogno di scrittore ancora non realizzato è quello di…?

Di recente, il 20 maggio, è stata pubblicata la versione audibile del mio romanzo “Il maresciallo Bonanno” e devo dirvi in tutta onestà che seppure conoscessi ogni singola parola e scena di quella storia, mi ha procurato una grandissima emozione ascoltare la voce e l’interpretazione dell’attore Gianluca Iacono che nella sua lunga carriera ha doppiato anche star hollywoodiane come Tom Hanks.  Non riesco a immaginare l’emozione che proverei, ma sarei disposto a correre il rischio pur di vedere i miei personaggi con fattezze di attori in carne e ossa. Osservarli prendere vita, agire, affannarsi, amare e soffrire nelle location sicilianissime a me molto care.

Grazie per la bella chiacchierata. Ora, come tradizione di Giallo e Cucina ti chiediamo di salutarci con una citazione ed una ricetta che ami!

“L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto.” Non l’ha detto un siciliano, l’ha detto un tedesco due secoli fa. Un tal Goethe.

Questa ricetta mi piace tanto che l’ho inserita in un romanzo.

– L’agneddruzzu alla palermitana ti feci.  

Donna Alfonsina cucinava quel piatto con rito liturgico che la impegnava personalmente per due giorni. Prima sceglieva dal macellaio di fiducia due cosciotti d’agnello nostrano che faceva tagliare a pezzi. Poi, a casa, li lasciava marinare per tutta la notte in una mistura con Passito di Pantelleria, olio, cipolle steccate con chiodi di garofano e rosmarino, e un battuto fine fine di sedano e carote, aromatizzato con pepe nero in grani. Il giorno appresso, di buon mattino, tirava i pezzi, li scolava e li coricava nella teglia, coprendoli con una coperta di cipolle affettate e patate novelle, lasciava cadere un ventaglio di rosmarino e l’aspergeva con una mestolata di Passito marinato. Poi infornava e dopo dieci minuti si spandeva un profumino che inondava l’intero quartiere ed era capace di raddrizzare la colonna spinale a uno storpio.

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