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Oggi parliamo con… Roberto Chirico

Intervista a cura di Miriam Salladini

Ciao Roberto, grazie per averci concesso questa intervista prima di cominciare a parlare dei tuoi libri vuoi dirci qualcosa di te? Quali sono i tuoi hobby?

Sembrerà scontato, ma io scrivo per hobby. E’ l’attività alla quale dedico maggiormente il mio tempo libero. Scrivere è appassionante, anche se a volte è impegnativo. Mi consente comunque di svagare con la mente e vivere nei tanti nuovi mondi che io invento. A seguire amo molto vedere i film. Spesso sono d’ispirazione, ma soprattutto trovo molto rilassante spaparanzarmi sul divano e lasciarmi trasportare dalle storie trasmesse sul piccolo schermo. E poi naturalmente leggere e ancora leggere. Insomma, i miei hobby sono tutta una storia. Svagare nella narrazione è il mio paradiso. Non disdegnerei di fare un po’ di sport, ma la pigrizia mi assale e…alla fine scrivo!

Nella vita sono insegnante di sostegno presso la scuola media ed è un lavoro che mi consente di unire utile e dilettevole. Anzi, è un mestiere che sembra ritagliato su misura per me con i suoi tempi, i suoi ritmi, i suoi impegni e le tante, innumerevoli relazioni. Ho due figli maschi e anche loro frequentano la scuola media. Avendo tre fratelli maschi sono convinto che se continuassi a fare figli sarebbero comunque maschi. E’ un destino, ma va bene così. I figli sono sempre figli e gli voglio un bene matto.

 Com’è nata la tua passione per la scrittura?

E’ una passione che ha radici praticamente nell’infanzia, il tipico sogno nel cassetto. Già allora i libri che leggevo erano una grande fonte d’ispirazione, scatenavano in me la voglia d’inventare. A quell’epoca, anziché scrivere, creavo storie con i pupazzi, i soldatini, le figurine. Battaglie epocali, storie d’amicizia, la scoperta di mondi sconosciuti e molto altro ancora. Solo una decina d’anni fa, però, ho fatto il grande passo: decidere di posizionarmi davanti a quel foglio bianco, la pagina di word, e mettere nero su bianco le narrazioni che mi passavano per la testa. Inizialmente erano storie brevi, brevissime, quasi un modo per prendere dimestichezza con quel mondo fatato e con le mie stesse capacità creative. Una volta che mi sono sentito più sicuro, più libero ho deciso di lanciarmi, di affrontare i temi, le emozioni, le immagini che vorticavano nella mia testa e che non vedevano l’ora di trovare la via d’uscita sotto forma di narrazioni.

Ci descrivi l’emozione provata quando è stato pubblicato il tuo primo libro?

Grandissima! Una cosa di un’intensità indescrivibile. Ritrovarsi nelle mani l’opera del tuo ingegno con copertina, impaginazione, introduzione, casa editrice e codice ISBN è una sensazione che tutti dovrebbero provare una volta nella vita. A pensarci mi vengono i brividi ancora adesso. La pubblicazione è come una certificazione che stabilisce che quello che tu scrivi ha un valore che va aldilà del tuo piacere personale ed è apprezzato anche da altri, che magari ti hanno scelto proprio per la tua capacità narrativa, per il tuo linguaggio, per la tua fantasia. Effettivamente si tocca il cielo con un dito. A me ha fatto un tale effetto e sono molto contento che sia stato così perché probabilmente questo mi ha dato la carica e le motivazioni per continuare a scrivere e a sperimentare. Da allora, infatti, non mi sono più fermato. Ogni anno ho pubblicato qualcosa. E’ stata come una molla che mi ha reso cosciente dei miei mezzi e delle mie abilità.

Hai un luogo particolare in cui preferisci scrivere?

La mia stanzetta al piano superiore o, se preferite, il mio studiolo. In poco più di quattro metri quadrati sono concentrati una scrivania grande, una libreria, un armadio e roba varia sparsa per il pavimento. Per non parlare della scrivania: un guazzabuglio indescrivibile. Montagne di carta di tutti i tipi e formati disposta a raggiera e in ordine di importanza perché sia sempre tutto a portata di mano, poiché io quello che non vedo dimentico. Messaggini formato pizzini sparsi in ogni dove per supportare la mia lacunosa memoria. Il cestino delle carte sempre pieno e traboccante. Insomma, un luogo dove il disordine regna sovrano e nel quale trova l’ordine adatto la mia creatività. Naturalmente, al centro di tutto, c’è lui, il mio portatile, che porterò con me anche nella tomba. Davanti a me, appesa al muro, una gigantesca cartina del mondo tutta colorata e il calendario. Sparsi dove capita libri e, soprattutto, i miei vocabolari d’italiano, in particolare il dizionario dei sinonimi e dei contrari, il vero strumento di lavoro di uno scrittore, almeno per me. Qui io scrivo e in questo non luogo convergono tutti gli stimoli per creare nuove e accattivanti storie.

Qual è il tuo ultimo libro? Di cosa parla?

Il mio ultimo libro è “Diseredati”, una raccolta di tredici racconti che parlano di drammi individuali che sono anche importanti temi sociali. Ogni storia affronta, in forma narrativa, un tema specifico come lo stupro, la pedofilia, la disoccupazione, l’immigrazione, l’inquinamento, ecc. Si tratta di racconti forti e coinvolgenti, che solleticano la nostra coscienza e stimolano la nostra rabbia contro la violenza, il pregiudizio, i soprusi, l’indifferenza. Non è un libro adatto a far svagare la mente, ma è impegnativo, per chi vuole pensare, riflettere, vivere i panni dei tanti diseredati del mondo sfruttati dalla società e da gente senza scrupoli. I racconti sono realistici e narrano l’esperienza di chi ha subito la brutalità altrui e la cui storia, purtroppo, non è finita nel migliore dei modi, anzi. Sono storie che non hanno un edulcorato lieto fine, ma si sostituiscono alle notizie di cronaca perché ci costringono a empatizzare con le vittime. L’autore partecipa emotivamente allo svolgersi delle vicende esprimendo in modo chiaro il proprio sdegno e la propria riprovazione. Il linguaggio è semplice, chiaro, netto e la narrazione toccante e avvincente.

Per scrivere ” La tattica di Oronzo” a cosa ti sei ispirato?

Il libro è ispirato a una storia realmente accaduta. Narra l’attività svolta nel Salento da un’associazione di inclusione sociale che affronta il problema dell’integrazione di persone che hanno avuto trascorsi di tossicodipendenza e alcoldipendenza o problemi con la giustizia. Tali obiettivi sono perseguiti attraverso corsi di formazione pratici per imparare a guidare una barca a vela. Nel 2012 un equipaggio di questi ragazzi, guidati da uno skipper professionista, si è classificato secondo alla Brindisi_Corfù, una regata velica di livello internazionale. E’ come se la realtà avesse superato la fantasia. “La tattica di Oronzo” racconta la loro storia e la loro impresa, usando un linguaggio semplice ma ricco di significati metaforici, paragonando il loro viaggio al percorso a ostacoli che tutti affrontiamo quotidianamente per andare avanti, per crescere, per affermarci come persone. La narrazione è ricca di momenti allegri e ridanciani e il mare e il Salento sono tra i protagonisti più importanti.

C’è un libro a cui sei legato particolarmente?

I libri sono come i figli e a essi si vuole bene allo stesso modo. Trovo sempre difficile rispondere a questa domanda perché ogni libro è importante nel momento in cui lo scrivo e da esso traspare la mia condizione psicologica ed emotiva in quel particolare periodo. Se proprio devo scegliere mi sento particolarmente legato a una delle prime raccolte di racconti, “Oltre il dolore, oltre la morte”, che parla di persone affette da malattie degenerative o colpite da cancro che alla fine muoiono. Le storie in questione sono come un percorso di elaborazione del lutto per coloro che vivono al fianco di queste persone e che devono farsi una ragione di quanto accade davanti ai loro occhi. Una delle storie è dedicata a mia madre, scomparsa nel 2002 per un tumore, e alla quale ho sempre voluto un bene dell’anima. Scrivere quel racconto è stato catartico, essenziale per aiutarmi ad accettare fino in fondo la sua scomparsa e, soprattutto, a ricreare una relazione con lei adesso che non c’è più. Ora mi sento sereno e percepisco la sua benefica presenza come un angelo protettore. A lei ho affidato i miei figli.

Visto che sei un insegnante ti chiedo: preferisci più insegnare o scrivere? 

Sono due cose diverse, ma entrambe importanti nella mia vita. Come ho detto prima, a me piace essere un insegnante e ancora di più essere un insegnante di sostegno. E’ un lavoro che mi dà tante gratificazioni e lo faccio con piacere. Non tutti hanno questa fortuna: io sì, e ne sono ben consapevole. Inoltre, insegnare è un’attività di relazione e questo mi gratifica e tira fuori, spesso, il meglio di me. Scrivere è un’attività libera, che faccio quando voglio e se voglio, senza pressioni di alcun genere e senza il bisogno di rispettare tempi e orari. E’ il mio angolo di piena libertà, dove posso esprimere fino in fondo me stesso come probabilmente non farei mai in nessun’altra situazione. In conclusione, non posso mettere a confronto le due cose. Mi viene da dire che, in un certo senso, si completano a vicenda e soddisfano entrambi bisogni che per me sono essenziali. Oggi come oggi non riuscirei a fare a meno di nessuna delle due.

Come tradizione ti chiediamo di lasciarci con una citazione e una ricetta

Per la citazione: “Nel tempo dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario” ( George Orwell- La fattoria degli animali)

La ricetta : tiramisù ossia il mio dolce preferito che preparo con uova, zucchero, mascarpone, panna, qualche goccia di caffè e pavesini. In superficie metto sempre una spolverata di cacao amaro.

QUANTITA’

  • 3 uova
  • 2 cucchiai di zucchero
  • 500gr di mascarpone
  • panna vegetale da 200ml
  • caffè
  • pavesini
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