Intervista a cura di Massimo Ghigi
Ho il piacere di intervistare Paolo Spagnuolo, giornalista e autore dello splendido libro Milano odia. La polizia non può sparare. Storia di un cult nell’Italia degli anni settanta (Milieu edizioni), dedicato ai protagonisti di quello che è senza dubbio uno dei capisaldi del cinema ‘poliziottesco’ (così venivano talvolta chiamati i polizieschi italiani) degli anni ’70.
Ti ringrazio per essere qui con gli amici del blog Giallo e Cucina e comincio subito con il chiederti come nasce la tua passione questo genere di film?
Più che di una passione per i polizieschi italiani la mia è una vera attrazione per “i generi” che negli ultimi venticinque anni si è trasformata in studio e, in parte, lavoro. Il cinema di genere (incluso il poliziesco), principalmente quello italiano degli anni d’oro, corrisponde esattamente alla mia idea di Cinema come fonte d’intrattenimento, senza i vecchi e forzati obblighi legati al c.d. impegno. La realtà che mi circonda la vivo tramite esperienze umane dirette, troppo spesso tristi e stressanti… altro che neo-realismo! Nello scegliere un film – anche quando curo le mie rassegne o cineforum – il mio obiettivo per quei cento minuti è di far evadere me e gli spettatori dalla realtà. Alcuni generi come la fantascienza o gli horror, dove l’incredibile può essere spinto ai massimi livelli, sono perfetti sotto questo punto di vista. Se poi una pellicola oltre a intrattenere contiene un messaggio, magari socio-politico, non c’è nulla di male; quello che molti indicano come impegno è un ottimo optional della settima arte se usato in modo appropriato, ma sempre un accessorio resta. Molti polizieschi italiani degli anni settanta puntavano alla spettacolarità esasperando alcune situazioni della durissima realtà italiana degli anni di piombo. In questo modo gli sceneggiatori, registi e produttori avevano la possibilità di attirare gli spettatori in sala con delle storie e immagini “estreme” ma sempre pertinenti alla realtà. Spesso erano presenti anche delle sotto tracce di denuncia sociale, ma di certo si puntava quasi sempre al più semplice e diretto effetto catartico della vendetta e della violenza. E qui si ritorna al discorso di prima… Detto questo voglio precisare che non disprezzo l’autorialità per partito preso, spesso e volentieri frequento anche quel tipo di visioni.
Leggo nel tuo libro che la sua realizzazione è stata richiesta a gran voce dagli appassionati dopo la pubblicazione di un altro libro simile dedicato al film “Napoli violenta”, un classico del cinema poliziesco; perché secondo te Milano odia… è emerso così prepotentemente rispetto agli altri film del genere?
In realtà poco meno di dieci anni fa avevo già intenzione di scrivere un volume su Milano odia, ma Lenzi preferì indirizzarmi su “Napoli violenta” – un suo film che adorava – come omaggio alla mia regione di nascita (sono di Avellino). Dopo quel volume moltissimi lettori mi hanno chiesto qualcosa di analogo su Milano odia perché è considerato da tutti uno dei capolavori nell’ambito del noir/poliziesco violento; un film che con il passare degli anni ha legittimamente varcato quella insensata categorizzazione tra film di serie B e film di serie A. Il gran valore di Milano odia è emerso principalmente per una serie di fattori. Umberto Lenzi era un regista preparatissimo e di una professionalità impareggiabile (altro che umile… artigiano come molti lo definivano facendolo incazzare); se il nostro poliziesco è stato così influente nel mondo è soprattutto grazie al suo straordinario lavoro. Tomas Milian era in grandissima forma e al massimo dei suoi eccessi (reali e simulati), la sua prova attoriale nell’interpretare il protagonista assoluto del film – il folle e spietato Giulio Sacchi – è tra le migliori di sempre. Fattore fondamentale: Milian e Lenzi avevano due personalità molto forti e complicate, i loro epici scontri sul set hanno creato quello che il pubblico può ammirare nel film. La storia è stata scritta e sceneggiata da Ernesto Gastaldi, un altro eroe del nostro Cinema, uno sceneggiatore sempre particolarmente a suo agio con questo tipo di vicende. Da non sottovalutare la produzione del grande Luciano Martino e dalla sua Dania Cinematografica, un imprenditore e uomo di cinema che sapeva sempre cosa fare e come farlo per rendere felici gli spettatori e fare cassa. Dobbiamo essere grati a tutti loro in egual misura e, nel mio piccolo, con il libro ringrazio tutti i protagonisti di quell’irripetibile stagione soprattutto attraverso la raccolta delle loro preziose testimonianze dirette.
Per realizzare il libro hai avuto la possibilità di parlare con diversi grandi personaggi dell’epoca d’oro del poliziesco all’italiana, parlo del regista Umberto Lenzi e di attori come Tomas Milian e Ray Lovelock (tutti e tre purtroppo venuti a mancare nel 2017) ci vuoi raccontare qualcosa di questi incontri?
Con Umberto Lenzi, conosciuto nel 2010, avevo stretto un rapporto di amicizia anche grazie ad alcune collaborazioni nell’ambito delle sue attività letterarie, delle nostre presentazioni e di alcune rassegne a lui dedicate. Fino a poche settimane prima della sua scomparsa ho avuto la possibilità di sentirlo al telefono, ma in precedenza l’avevo incontrato ancora altre volte a casa sua per raccogliere materiale sul film. Questo canale preferenziale è stato fondamentale per la redazione del libro. È sua la prefazione. Esulando dal contesto, fantastico fu un viaggio in auto da Avellino a Ostia pieno di aneddoti e racconti, con il Maestro che intonava anche qualche colonna sonora di vecchi classici in bianco e nero francesi o americani. Milian, che viveva a Miami, l’ho intervistato con una doppia telefonata intercontinentale che racconto in parte nel paragrafo inerente a questi lunghi colloqui. Molto disponibile e ironico, a un tratto mi ha fatto credere di essersi offeso lasciandomi intendere di avergli dato non volendo del “vecchio rincoglionito”, poi si è messo a ridere e l’intervista è andata bene. Credo sia la sua ultima intervista o tra le ultimissime rilasciate. Lovelock, così come tutti gli altri che ho ascoltato e incontrato, è stato davvero entusiasta di raccontare questo specifico film. Una menzione speciale la voglio riservare a Eugenio Alabiso, il montatore, che durante la nostra chiacchierata mi ha raccontato anche un fantastico aneddoto su “Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone. Lui ha montato anche questo capolavoro oltre che “Per qualche dollaro in più” del 1965, altra pellicola leggendaria sempre di Leone. Da questo particolare si può capire molto di quel tipo di Cinema e delle grandi professionalità messe in campo. Peccato solo per Ennio Morricone (autore della colonna sonora di Milano odia), l’unico insieme a Henry Silva che non sono riuscito a intervistare. Il secondo perché era ed è ancora in una casa di riposo di Los Angeles in precarie condizioni di salute. Chiudo con un altro mito, il grande regista Enzo G. Castellari che senza tentennare un istante alla mia richiesta ha scritto un’emozionante postfazione in forma di lettera dedicata al film e al suo collega scomparso Lenzi.
Quanto tempo hai impiegato per realizzare il libro? Solo la ricerca del materiale deve averti impegnato veramente tanto! Dove hai riscontrato maggiori difficoltà?
In tutto, con qualche soluzione di continuità, circa quattro anni. Alcuni mesi ci sono voluti affinché l’avvocato che cura gli interessi della fu Dania Cinematografica mi concedesse il materiale negli archivi e l’uso degli stessi. Alla fine la sua disponibilità insieme a quelle delle figlie di Luciano Martino – Dania e Lea che ho anche intervistato – è stata fondamentale. Grazie a loro ho potuto inserire in appendice, solo per fare un esempio, la sceneggiatura originale del film, quella dattiloscritta usata sul set. Un documento fantastico. Una grande mano me l’ha data anche Alessandra Lenzi, la figlia del regista, dopo la scomparsa del padre. In generale è stato un libro davvero complicato da realizzare.
Ci vuoi raccontare la tua emozione quando hai avuto finalmente in mano la prima copia di Milano odia…? A mio modo di vedere questo libro è veramente una gioia per gli occhi! (anche le note a margine sono di un interesse assoluto!)
Edoardo Caizzi, il mio editore, mi ha presentato per la prima volta il libro a Milano invitandomi a pranzo in un ristorante a pochi passi da porta Romana. Prima di mostrarmelo mi ha quasi costretto a bere del vino. A quel punto ho pensato che volesse farmi ubriacare per obnubilare la mia mente e rendere meno evidente qualcosa di sbagliato del volume. Ma non era affatto così… La vera emozione è stata capire quanto le bozze a video non rendessero minimamente l’idea dell’impaginato finale. L’impatto è stato davvero notevole e sfogliarlo per la prima volta con piena soddisfazione, con le facciate di quella particolare tonalità vintage, è stato il vero coronamento di tanto lavoro da parte di tutti. Bravissimi anche i grafici e coraggiosa la Milieu che ha assecondato qualche mia richiesta e scelto il colore per gran parte del libro. Per ovvi motivi il mio giudizio potrebbe essere considerato di parte, quindi bisognerà fidarsi della tua valutazione… che mi lusinga molto. Passo alle note che sono una mia piccola mania, le uso quasi come i contenuti speciali dei dvd o blu-ray per raccontare piccole storie parallele di cinema o di storia contemporanea oltre che per approfondire o inquadrare meglio qualche argomento, magari inserendo qualche divertente curiosità inedita.
Come spesso è accaduto per i film di genere del passato spesso il ‘successo’ è arrivato, almeno per ciò che riguarda la critica, molto tempo dopo l’uscita in sala; proprio dal comparto di documenti inclusi nel tuo libro (incassi e recensioni) è evidente come, se da un lato gli incassi hanno decisamente premiato il film, la critica ufficiale lo ha veramente maltrattato. Tutto merito di illustri estimatori come Tarantino o effettivamente quei film tanto malaccio poi non erano?
PS: Apprezzo molto Tarantino, i suoi film e le sue “visioni italiane”, ma questa storia che solo grazie a lui negli ultimi vent’anni circa sia stata fatta giustizia al nostro cinema di genere non la riesco a digerire completamente. Sicuramente grazie a qualche sua citazione/omaggio (i più cattivi le chiamerebbero copiature) una certa visibilità l’ha data… ma già prima di lui era iniziata la (ri)scoperta di alcune nostre perle cinematografiche. In parte grazie ai collezionisti e in parte unicamente per il valore oggettivo di molte di quelle produzioni. È importante anche essere onesti, l’ho scritto anche nel libro, perché anche il nostro cinema di genere è pieno di obbrobri così come accade per qualsiasi altro tipo di cinema, giusto per semplificare. ‘Milano odia: la polizia non può sparare’ è un film del 1974, un ottimo film oggi come lo era quarantacinque anni fa. Magari all’epoca i critici agivano in maniera diversa per tutta una serie di motivi anche abbastanza stupidi se visti con gli occhi di oggi, ma le sale si riempivo sistematicamente. Un discorso abbastanza lungo da affrontare in questa occasione. I lettori del mio libro potranno capire qualcosa in più leggendo la rassegna stampa dell’epoca (numerosi ritagli di giornale originali e completi inerenti al film) che ho incluso in un apposito capitolo.
Sempre nel tuo libro si accenna alla possibilità neanche tanto remota di assistere in un futuro prossimo ad un remake di Milano odia…; non ti nascondo che la cosa personalmente mi lascia un po’ perplesso dati i risultati qualitativi non eccelsi di recenti remake di altri film ‘stra-cult’ magari della commedia all’italiana, anche perché quel tipo di film rispecchiava assolutamente il periodo storico del momento, tu cosa pensi di quest’operazione?
Del remake me ne parlò Lenzi, successivamente ho avuto l’occasione di discuterne anche con Dania e Lea Martino che ora hanno la Devon Cinematografica. Credo che il progetto non andrà più in porto, ma non ne ho la certezza. Personalmente produrre o riprodurre quel tipo di atmosfere oggi è impossibile e non solo perché la società italiana è cambiata. Mi disse Lenzi che la nuova sceneggiatura doveva essere completamente diversa per funzionare almeno in parte. Firmò anche un contratto per i diritti, ma quel contratto è scaduto da tempo. Senza il Giulio Sacchi originale secondo me è tutto inutile. Te lo immagini un Giulio Sacchi diverso da Milian. Lui era Giulio e Giulio era Milian.
Parlando proprio di remake/non-remake ti chiedo un’opinione sull’operazione “Suspiria” di Luca Guadagnino in questi giorni nelle sale; anche se non è un poliziesco mi piacerebbe sapere che idea ti sei fatto. Lo hai visto o lo andrai a vedere?
Sono contrario ai remake di film che hanno già fatto la storia. Nessuno potrà mai superare l’originale, neanche decuplicando il budget, ingaggiando delle star superpagate o usando le nuove tecnologie. Poi ci sono quelle operazioni che vengono definite riletture. Il “Suspiria” di Guadagnino, che ho appena visto, non credo si possa classificare come remake. Però sai, a pochi giorni dalla sua visione, ancora non ho capito se mi è piaciuto. Questo credo sia un cattivo segno. Contiene sicuramente alcune ottime idee che non voglio spoilerare. Avrei preferito qualcosa di leggermente più exploitativo, giusto un po’. Ma di una cosa sono certo, è un film che va visto assolutamente sul grande schermo ma senza aspettarsi un vero horror o la stessa fiaba nera del film di Dario Argento. Un’altra certezza: la colonna sonora di Thom Yorke è quasi imbarazzante.
La tua passione per il cinema italiano degli anni ’70 si estende anche ad altri generi allora in voga e poi rivalutati come il thriller all’italiana, lo spaghetti western, la commedia sexy, ecc.?
Certo, come accennato il ‘genere’ m’interessa tutto, praticamente senza distinzioni di paese di produzione. Ho una leggera predilezione per i thriller tricolore tipo “Non si sevizia un paperino” di Lucio Fulci o i film spuri come “La corta notte delle bambole di vetro” di Aldo Lado e “Macchie solari” di Armando Crispino.
Fammi i nomi dei tuoi preferiti in assoluto nell’ambito del poliziesco anni ’70: film, regista, attore, attrice.
Domanda complicatissima che mi creerà dei ripensamenti un attimo dopo la pubblicazione. Terrò fuori concorso i film di Lenzi, Castellari e Tomas Milian (ma ricordatevi che “Roma a mano armata” di Lenzi e “Il grande racket” di Castellari sono due polizieschi favolosi). In merito al film resto nel capoluogo lombardo e cito “Milano violenta” del 1976 diretto da Mario Caiano, considerato da alcuni come un film di secondo piano nell’ambito del genere. Non è così. Come regista Fernando Di Leo, uno specialista dei noir (“Milano calibro 9” e potrei fermarmi qui), ma che ha diretto il notevole poliziesco “Il poliziotto è marcio”. Attore: Antonio Sabàto. Attrice: Maria Rosaria Omaggio.
Hai qualche nuovo progetto nel cassetto?
Ho sempre qualche progetto in mente, spesso solo nelle intenzioni. Ho già un paio di idee in cantiere ma per i prossimi mesi mi dedicherò principalmente alla promozione di ‘Milano odia’.
Ti ringrazio tantissimo per la tua disponibilità, è stato veramente un piacere fare questa chiacchierata con te! Faccio tanti complimenti a te a alla Milieu Edizioni per la qualità del libro Milano odia… e, come tradizione di Giallo e Cucina ti chiedo di salutarci con una citazione e una ricetta che ami particolarmente!
‘Il cinema migliore è quello in cui l’azione è lunga e i dialoghi brevi’. (John Ford, regista quattro volte premio Oscar)
Vi saluto e ringrazio con una ricetta tipica dell’Irpinia:
Costine di maiale con peperoni all’aceto (Spangelle r puorco co li peparuli a l’acito), un piatto invernale di facile preparazione ma molto gustoso.
Ingredienti per 4-5 persone: 1 chilogrammo di costine di maiale; 5 pacche di peperone rosso sott’aceto; olio di oliva extra vergine; 50 grammi di salsa di pomodoro passata fine; sale e pepe q.b.
Procedimento: In una padella anti aderente rosola le puntine di maiale senza aggiungere alcun grasso per qualche minuto, successivamente va aggiunto un pizzico di sale e pepe, qualche cucchiaio di acqua e continua la cottura per una decina di minuti coprendo il tegame a metà con coperchio. Versa la salsa di pomodoro, mescola e lascia cuocere altri 10 minuti. Intanto sciacqua i peperoni sotto l’acqua corrente, taglia le pacche in pezzi più piccoli e fai rosolare anch’essi senza olio, giusto il tempo di far asciugare l’acqua in eccesso. Dopo un paio di minuti aggiungi un filo di olio di oliva e continua a rosolare ancora un minuto. Spegni il fuoco e aggiungi i peperoni alle puntine di maiale che avranno intanto cotto per 20 minuti. Mescola e lascia cuocere la carne con i peperoni altri 5 minuti e il piatto sarà pronto.