Intervista a cura di Dario Brunetti
Abbiamo il piacere d’incontrare per giallo e cucina Luigi Vergallo, in libreria con il suo romanzo ‘’Omicidio alla Statale”. Benvenuto Luigi, parlaci dell’incredibile storia di Guillermo soprannominato El Tiburón ‘’lo squalo’’, come nasce l’idea di questo personaggio?
Tiburón sì è fatto largo nella mia testa pian piano, volevo un personaggio che potesse tenere insieme due città e due quartieri (Barcellona/Raval e Milano/Ticinese) naturalmente diversi fra loro ma anche accomunati da un’analoga tradizione di presenza operaia e anche di presenza piccolo-malavitosa. Tiburón nasce a Barcellona e poi a 18 anni si sposta a Milano, città di origine di Primo, l’anarchico italiano che lo ha cresciuto. Per tutti questi motivi, la città lombarda per lui è sì una città nuova, ma è comunque una città che sa in qualche modo riconoscere, e che cercherà di conoscere sempre meglio percorrendola in lungo e largo nello svolgimento delle sue attività criminali.
Chi ha avuto l’opportunità di leggere questo romanzo scoprirà che ci si lega facilmente al Tiburón, ci sai spiegare il perché?
In fondo Tiburón è un buono, un personaggio capace di empatia. Nello stesso tempo delinque perché in fondo non ha mai visto fare qualcosa di diverso. È stato addestrato per quello, una volta avremmo detto “lo hanno disegnato così”. Inoltre, egli svela pienamente la contraddizione di queste nostre società contemporanee, in cui le categorie di bene e di male si fanno porose e si contaminano, e in definitiva mostrano la loro inadeguatezza gnoseologica.
Come mai hai scelto un personaggio che ha un approccio così duro con le donne?
Tiburón ha un approccio duro con le donne? J
Siamo anche nello spazio dedicato alla cucina, quale piatto si preparerebbe El Tiburón? Invece il piatto preferito di Luigi è salentino o milanese? Ci sapresti dire la tua ricetta preferita?
No, Tiburón non cucina, al limite mangia un kebap, ma se lo inviti a cena mangia di tutto e con gusto. A me piace mangiare, mi piace il cibo e mi piace anche il rito sociale che lo accompagna. La mia situazione ideale prevede il mare, una griglia, qualche bottiglia di vino e molto pesce fresco (oltre alle persone cui voglio bene).
Concentri questo romanzo in due città come Barcellona nel Barrio Chino dove è nato Guillermo e Milano nel quartiere Ticinese, parlaci di queste due ambientazioni, realtà che fanno il bello e cattivo tempo nella vita del protagonista.
Come dicevo, sono due quartieri cruciali nella vita e nella storia di queste città. Storicamente hanno ospitato un porto, e dunque una malavita portuale, cioè votata principalmente a piccoli reati come il contrabbando, il furto, la ricettazione, lo sfruttamento della prostituzione. Sono i quartieri della classe operaia, anche, e questo ha prodotto tensioni particolari, nel bene e nel male, con queste forme delinquenziali. Diversamente da quanto prevedere una certa vulgata, soprattutto a Milano gli operai non sono stati sempre solidali con i piccoli criminali, anzi spesso si sono uniti alle classi dominanti nella richiesta di maggior ordine e sicurezza. Mi piace indagare i cortocircuiti generati dagli aspetti di tradizione, e di superamento della tradizione, presenti oggi in questi quartieri.
Ritorniamo al noir, come nasce la tua passione per questo genere letterario?
Credo di essermi innamorato sempre di più del genere leggendo autori come Scerbanenco e Malet prima di tutto, e poi successivamente autori come Izzo, Carlotto e alcuni altri, capaci di coniugare la curiosità verso la piccola criminalità e le polizie con l’analisi, o meglio con la rappresentazione delle contraddizioni sociali. Il noir ti aiuta a parlare di cose serie senza cascare nella retorica; ti permette di affrontate questioni importanti avvincendo al contempo il lettore. Ti permette, in definitiva, di vincere le resistenze dei pregiudizi e complicare la “realtà” della narrazione dominante.
Sei un docente di storia all’Università di Milano, quindi hai un contatto quotidiano con gli studenti, come vedi questa generazione, ci sapresti dire pregi e difetti?
Gli studenti sono uno specchio della società. Poiché abbiamo progressivamente disinvestito dalla cultura, dalla qualità dell’istruzione, dagli ideali, dall’idea della necessità dell’impegno e del sacrificio, abbiamo trasformato l’università in un grande liceo. Gli studenti pensano che i professori siano al loro servizio, mentre dovrebbero rappresentare uno strumento, un medium fra loro e il mondo di fuori. I professori, da parte loro, non sono sempre sintonizzati con gli studenti, anche perché in università il ricambio generazionale si avvicina allo zero.
Quali sono i tuoi punti di riferimento della letteratura? E abitualmente cosa leggi?
In generale non amo produrmi dei punti di riferimento. Leggo in molte direzioni diverse, dai fumetti ai romanzi – di genere e non -, dai classici alla letteratura più attuale e sperimentale, dalla saggistica storica alla saggistica di tipo politico. Amo i noir, certo, dai grandi classici francesi ai più “disimpegnati” made in U.S.A. (qui, però, ho pochi punti di riferimento sicuri, in una massa di autori che non sempre vale la pena di leggere).
Due scrittori che non hai mai letto, uno straniero e l’altro italiano che ti piacerebbe veramente scoprire?
Wow. Confesso di non aver mai letto Philip Roth, e sicuramente lo farò, e confesso di non aver mai letto De Cataldo, e prima o poi lo farò.
Oltre ad essere uno scrittore di noir, hai altre passioni?
Il vino, le candele, le piante. Ho un enorme terrazzo che ho dal nulla riempito di piante, cui dedico un minimo di attenzioni, non dico ogni giorno ma quasi. Quello che vorrei fare sempre, molto di più, è viaggiare con i miei figli, con la mia compagna, e poi finire le giornate come ti dicevo: con una griglia, del pesce, il mare a portata di occhi.
Sei nato a Lecce, ambienteresti un tuo romanzo noir nella tua terra di origine? Il Salento è una delle perle del sud, potrebbe essere ancora più valorizzata?
No, il noir è – e a mio parere dev’essere – una scrittura metropolitana. Nulla di più lontano dal Salento. Una terra che non è pensabile valorizzare più di così, dal punto di vista turistico, perché il Salento misura 44 km nel punto più largo. Attirare ancora più turismo vorrebbe dire ammazzarlo. Poi, per carità, è anche vero che quando sento parlare di limitazioni al turismo mi prudono le mani, quindi succeda quel che deve, e intanto confidiamo nel buon senso – e nell’educazione – delle persone che ci vanno in vacanza.
Siamo in cucina, cosa potrà bollire in pentola per il futuro? Ci daresti una piccola anticipazione?
Sono in un momento di grossi interrogativi sul senso della scrittura e dell’editoria in generale, e questa crisi mi ha portato a scrivere in un modo diverso, in altre direzioni. Per il momento è così. Non ho storie pronte dentro alla testa: butto giù qualche riga ogni tanto, ma è tutto prematuro. Poi, certo, so bene che quando la storia arriva ti prende e non ti lascia più finché non la pubblichi: quindi mi aspetto sempre soprese. Fate altrettanto anche voi.
Grazie per la bella chiacchierata, come da tradizione ti chiedo di salutarci con una citazione che ami particolarmente!!!
“Pleo’ meletà, pleo’ channi ti’ ciofali”, è un proverbio 😉