Intervista a cura di Stefania Ghelfi Tani
Buongiorno Laura e grazie per averci concesso un po’ del tuo tempo! Raccontaci di te. Chi sei? Quando è nato il tuo amore per la scrittura?
Buongiorno a voi! Dunque, non amo parlare di me, ma farò del mio meglio. Ho passato i quaranta, ma non vi dico da quanto, vivo vicino Roma, sul mare, faccio la psicoterapeuta da tanto tempo, e quindi sono abituata ad ascoltare gli altri, più che a parlare, e da altrettanto tempo scrivo. Che mi ricordi ho sempre scritto, anche se mi auguro di non ritrovare mai, magari nella casa dei miei genitori, qualche poesia scritta da me a nove anni, erano terribili. Ho tenuto per tanti anni un diario, ma mi sono allontanata dalla scrittura tra il liceo e l’università. Dopo la laurea in psicologia, la specializzazione in terapia famigliare e la nascita di mio figlio, sedici anni fa, ho ripreso in mano la penna, per così dire, e riscoperto questa passione alla quale ora non rinuncerei più.
Oltre alla scrittura hai altri interessi, passioni, hobbies?
Come tutti gli scrittori, credo, adoro leggere, e ho gusti molto variegati, che spaziano dal thriller alle storie d’amore, dai classici ai contemporanei. Amo il tai-chi ma non ho più il tempo di praticarlo, e potendo prenderei un’altra laurea, in lettere, ma, appunto, il tempo è troppo poco. Tra il lavoro da psicoterapeuta, la scrittura e la famiglia se riesco anche a leggere è una specie di miracolo.
Dove e quando scrivi? Hai un posto preferito dove trovi ispirazione?
Scrivo sempre a casa, alla mia scrivania in camera da letto, su un computer portatile, e rigorosamente quando sono sola, quindi il momento della giornata è irrilevante, a volte di mattina, altre di sera tardi, non importa. Magari se non posso soddisfare queste condizioni prendo appunti, faccio ricerche in rete, ma riesco a scrivere davvero solo se sono sola, nel silenzio. L’ispirazione, parola con la quale intendo un’idea per una storia, o per uno snodo importante del romanzo che sto scrivendo, mi viene un po’ ovunque, mentre vado a piedi al lavoro o sul treno o, in maniera inopportuna, quando servo ai tavoli nel locale di mio marito, il sabato sera, e la difficoltà, a quel punto, è ricordarsene dopo, quando posso appuntarmela…
Come nascono le tue storie, quanto rubi alla fantasia e quanto c’è di autobiografico?
Non saprei davvero quantificare l’apporto delle due fonti, ma è certo che agiscono entrambe. L’idea di fondo per un romanzo può venirmi da qualsiasi cosa, una conversazione ascoltata per caso, un articolo di giornale, una canzone, poi interviene la fantasia, nella creazione dei personaggi, l’ambientazione, l’intreccio, e infine di sicuro c’è sempre un pizzico di autobiografismo, imprescindibile, a mio avviso, semplicemente perché sono io a raccontare quella storia, e io sono, come ciascuno di noi, un “impasto” di esperienze e sentimenti e desideri unico, che non può non riflettersi nel modo di scrivere.
“Ogni tuo silenzio” il tuo ultimo libro: quanto c’è di te in Emilia? Perché la scelta dell’Abruzzo e del Trentino?
Emilia è come sono io ma anche come vorrei essere e non sono: è caparbia, come me, determinata, ma anche molto dolce e paziente, e io non posso pensare a me come a una persona dolce né, senza dubbio, paziente, e non riuscirei, come fa lei, ad amare un uomo silenzioso come Aris: mi farei continue paranoie su quel che sta pensando e alla fine glielo chiederei e alla lunga lui, probabilmente, mi lascerebbe, altro che sposarmi!
Quanto all’ambientazione del romanzo, per ragioni legate alla mia vita privata conosco e amo il Trentino, mentre considero l’Abruzzo una delle più belle zone di Italia, con le sue montagne aspre, orgogliose, i suoi altipiani brulli e pieni di fascino. Due regioni montuose diversissime tra loro: una è per me un luogo molto vicino al cuore, ma è una montagna verdissima, lussureggiante, gentile, in un certo senso; l’altra mi assomiglia di più, e quando ci vado mi sento a casa, anche se sono nata e cresciuta a Roma.
“Le replicanti”, il tuo primo romanzo, ti va di spiegarci questo titolo e la scelta di trattare un tema come il bullismo.
Sono davvero molto affezionata a questo libro, che purtroppo è stato pubblicato solo in ebook da una casa editrice tedesca e ora non si trova più, ma spero prima o poi di riuscire a ripubblicarlo. Il titolo si rifà alla fantascienza, a quel mondo di “replicanti” robot che, appunto perché automi e non umani, fanno tutti le stesse cose nello stesso modo, lontani dalla confusione dei sentimenti e dalle contraddizioni di una vita di relazioni autentiche, e le “mie” replicanti sono, a detta di uno dei protagonisti della storia, l’ispettore che indaga sulla morte di due di loro, le ragazze, ma anche i ragazzi, di oggi, visti da fuori: tutti vestiti allo stesso modo, tutti che fanno le stesse cose e, apparentemente, pensano le stesse cose. Naturalmente non è così, ma nel merito della mia storia le quattro ragazze che costituiscono alcuni dei personaggi principali sono davvero delle replicanti, agli ordini della più forte tra loro. Ho deciso di parlare del bullismo “al femminile” perché se ne parla pochissimo, eppure è uno dei fenomeni dei nostri tempi recenti, una novità che è forse una conseguenza negativa di quella parità dei sessi che invece, di suo, è assolutamente auspicabile, a mio avviso. Non se ne parla, ma di bande di ragazze, e spesso ragazzine, che terrorizzano, vessano e picchiano altre ragazze, più fragili di loro, che non sanno difendersi con le mani e spesso neanche a parole, ce ne sono ovunque, e basterebbe mettere il naso in qualsiasi scuola media per trovare qualche rappresentante di questa categoria, che ovviamente nasce dal disagio psicologico e dall’assenza del ruolo di supporto delle famiglie, spesso separate e alle prese con una vita quotidiana sempre più complicata, difficile da gestire.
“La vita di carta”, il tuo secondo libro dove affronti il tema quanto mai attuale della violenza sulle donne. Vuoi dirci di più?
In realtà non voleva essere un libro sulla violenza alle donne, ma poi è arrivata Irene, e il tema mi si è imposto da solo. Una donna che si nasconde come lei spesso viene da un’esperienza come la sua, vittima di un uomo violento che si rivela tale solo dopo il matrimonio, lasciandoti cicatrici che non si rimarginano. È ovvio che la mia esperienza di psicoterapeuta, spesso a contatto con testimonianze di persone che nella vita hanno molto sofferto, per una ragione o per un’altra, mi porta a creare personaggi con un passato quasi sempre piuttosto tormentato.
Ogni tua storia è caratterizzata dall’amore e dalla passione. Dacci tre buoni motivi per leggere le tue opere.
Non ho scelto di scrivere storie caratterizzate dall’amore e dalla passione, ma storie di persone, e sono convinta che la vita delle persone vada avanti, si fermi, si areni o prenda il volo grazie alle relazioni che esse intessono con gli altri, e le relazioni d’amore tra due persone che non hanno parentela in comune sono quelle che molto più delle altre, spesso, decidono il destino di una vita. Come fai a parlare della vita della gente senza che questo diventi parlare dell’amore e della passione, che alla fine sono ciò che ci fa alzare dal letto la mattina?
Quanto ai buoni motivi per leggere le mie opere, proprio non ne ho idea. Promuovere i miei romanzi mi risulta quasi impossibile, e finora sono anche riuscita ad evitare di fare presentazioni. Più che invitare a leggere i miei libri preferisco invitare a leggere in generale, perché lo considero uno dei maggiori piaceri della vita, e anche perché in ogni storia può nascondersi quella frase, quella riflessione, quel pensiero che ci sarà utile, prima o poi, che ci aprirà finestre nella mente che non credevamo nemmeno di aver chiuso.
Ami caratterizzare psicologicamente i tuoi personaggi?
Credo di non poter fare diversamente, data l’esperienza ormai ventennale di psicoterapeuta di cui parlavo sopra. Anzi, a volte forse rischio di farlo troppo, togliendo magari al lettore il piacere di immaginare i personaggi a sua discrezione. Ma spero proprio di no…
Quanto è importante la tua professione nella stesura dei tuoi romanzi?
Appunto… tendo a tenere molto separate le due cose, infatti non “uso” mai le storie dei miei pazienti per i libri, ma è ovvio che nella mia testa le parole ascoltate da loro, le riflessioni che mi hanno stimolato e la fantasia si intrecciano in maniera inestricabile, e inevitabilmente parte della mia esperienza professionale si riversa anche nei romanzi che scrivo.
Stili solitamente una scaletta o ti fai condurre dalla narrazione?
No, non uso mai una scaletta, mi toglierebbe il piacere della sorpresa. Di solito parto da una situazione e un paio di personaggi, e poi guardo quello che succede di giorno in giorno. Un po’ come guidare con gli anabbaglianti: vedi quello che è appena davanti a te, ma non la fine della strada, infatti non so mai dall’inizio come andrà a finire un romanzo, spesso sono i personaggi stessi a dirmelo, anche se ovviamente è il mio inconscio che parla attraverso di loro.
Ami avere musica di sottofondo? E se sì quale genere ami?
Di sottofondo no, non riesco a scrivere. Ma prima e dopo sempre! Ascolto musica pop, pop rock, indie, diciamo che vado a periodi e passioni, ma preferisco artisti stranieri e rigorosamente attuali. Detesto la nostalgia del passato da tutti i punti di vista, anche musicale.
Come lettrice quali libri acquisti, cosa ami leggere? E se devi regalare un libro come lo scegli?
Regalare un libro è difficilissimo, devi conoscere davvero molto bene la persona a cui lo stai regalando, perché i gusti letterari sono imprevedibili e, secondo me, sovrani. Non sopporto chi dà giudizi lapidari sulla capacità o incapacità di uno scrittore, invece di limitarsi a dire che, semplicemente, quel modo di scrivere non incontra i suoi gusti. Di solito, quindi, invece di regalare libri regalo buoni per comprare libri, così ciascuno può scegliersi quel che preferisce. Quanto a me, io leggo di tutto, basta che un libro mi incuriosisca, o che una persona che stimo me ne parli bene. Spazio un po’ da un genere all’altro, e qualche anno fa avrei detto che l’unico genere da cui mi sarei tenuta lontana era il fantasy, ma poi è arrivato Harry Potter… Difficilmente leggo saggi, a parte qualche libro di cui ho bisogno in termini di aggiornamento professionale, ma per passione leggo solo romanzi, dai classici più classici ai contemporanei pubblicati da case editrici grandi e piccole e anche a parecchi self-published, spesso sorprendentemente di qualità. Amo anche tanta poesia: Wislawa Szymborska, Michele Mari, Jimenez, Mark Strand, per citarne alcuni.
Uno o più autori che ami particolarmente e perché?
Ho una predilezione per le autrici, sia italiane che straniere. Forse perché trovo che l’analisi psicologica dei personaggi sia sempre più accurata, rispetto ai libri scritti da autori uomini, che abbiano uno sguardo più attento ai particolari. Dovendo proprio fare qualche nome dico Elizabeth Strout, Elizabeth Jane Howard, Jane Austen, Simone de Beauvoir. Mi astengo dal nominare le italiane, ho molte amiche scrittrici, e loro sanno quanto le stimi. Adoro Stephen King, Patricia Highsmith, Juhmpa Lahiri, Ian Mc Ewan, Albert Cohen, Murakami Haruki… e mi sa che devo fermarmi, o riempio tutto il foglio!
Prossimi progetti letterari in divenire?
Il ventisei dicembre prossimo uscirà il mio nuovo romanzo, “Il solo modo per coprirsi di foglie”, un titolo lungo che riprende un verso della Szymborska, sempre per Bookme di De Agostini, che ha pubblicato anche “Ogni tuo silenzio”. Ho un altro romanzo che sto finendo in questi giorni, e nella testa un altro romanzo ancora e storie varie che passeggiano… Diciamo che più che il problema del terrore della pagina bianca ho il problema di tenere a bada tutte le idee che mi vengono di continuo!
Un consiglio a chi ha il suo romanzo ancora chiuso nel cassetto?
Domanda difficile. Oggi riuscire a farsi pubblicare è davvero il risultato di una somma di fattori, non ultimo il classico colpo di fortuna che ti mette in contatto con la persona giusta al momento giusto. Inviare manoscritti alle case editrici senza avere neppure un nome di riferimento a cui mandarli è quasi inutile, subissate come sono da decine di libri che arrivano ogni giorno. Credo che un grosso aiuto possa venire dal self-publishing, dal momento che oggi questa possibilità di farsi leggere esiste. Quindi direi all’aspirante autore di tirar fuori il suo libro dal cassetto, rileggerlo con quanta più obiettività possibile, magari farlo leggere a un “lettore beta” di cui si conosca la reale imparzialità, curare all’estremo grammatica e sintassi, e anche la forma grafica, dal momento che non si ha a disposizione un correttore di bozze, farsi fare una bella cover e autopubblicarlo su una delle tante piattaforme digitali a disposizione. Forse con il classico aiutino della fortuna di cui sopra, se il libro vale qualche casa editrice lo noterà e avanzerà una proposta di pubblicazione.
Grazie per la bella chiacchierata. Ora, come tradizione di Giallo e Cucina ti chiediamo di salutarci con una citazione ed una ricetta di cucina che ami!
Grazie a voi! La citazione è questa di seguito, che davvero mi rappresenta:
“Da quando fui stanco di cercare, ho imparato a trovare. Da quando un vento mi ha fatto resistenza, navigo con tutti i venti.”
Friedrich Nietzsche
Per la ricetta è un po’ più complicato: ho un marito chef, e al massimo cucino cose semplicissime per mio figlio, quindi con le ricette ho un rapporto… inesistente! Però adoro la pasta alla Norma, come la prepara mio marito, quindi vi lascerò qui la sua ricetta:
PASTA ALLA NORMA
Preparare un sugo di pomodoro fresco, aglio e basilico. Poi tagliare una melanzana a cubetti e friggere i cubetti in olio bollente. Cuocere la pasta, preferibilmente mezze maniche, e condirla con il sugo di pomodoro e le melanzane fritte. Alla fine grattare sopra della ricotta salata e aggiungere una spolverata di pepe nero.
Meravigliosa!
Grazie ancora, Stefania, è stato un vero piacere!