Intervista a cura di Massimo Ghigi
E’ con noi oggi a GialloeCucina Jason Hunter, nome di battaglia dello scrittore Franco Luparia, uno degli ultimi acquisti della ‘Italian Legion’ della spy story, proprio in questi giorni in edicola nella collana Segretissimo di Mondadori con il nuovo romanzo ‘Agente Roachford – Dossier al-Siddīq’. Questa è la seconda avventura con il medesimo protagonista, seguito di ‘Agente Roachford – Caccia all’Incubo’ che valse all’autore nel 2020 l’ambito Premio Altieri per la narrativa di spionaggio. Per prima cosa ringraziamo tanto Jason per aver accettato il nostro invito e partiamo subito a raffica con le domande per cercare di conoscere meglio questo misterioso avventuriero!
GeC: Come nasce lo scrittore Jason Hunter e perché hai optato per questo pseudonimo?
JH: Innanzitutto grazie a te per la splendida opportunità di dialogo e a tutti i partecipanti al blog che dedicheranno un po’ del loro tempo al sottoscritto. Lo scrittore nasce tardi, da una costola dell’accanito lettore che ero e che rimango. Sono cresciuto alimentandomi principalmente (ma non solo) con romanzi di avventura, classici e moderni, e con film e serie tv trattanti lo stesso argomento. Nomi a caso per quanto riguarda la letteratura: Jules Verne, Alexandre Dumas, Emilio Salgari, Louis L’amour, Gordon D Shirreffs, Elmore Leonard, Tom Clancy, Ken Follet, Eric Van Lustbader. Tornare a leggere Segretissimo una dozzina di anni dopo l’ultimo volume acquistato mi ha aperto un nuovo mondo. Che magnifico sense of wonder hanno suscitato le storie narrate dai suoi autori italiani che si presentano al pubblico con affascinanti nickname esterofili . Facile citare Stefano Di Marino, Andrea Carlo Cappi e Alan D Altieri. In realtà dietro ci sono molti altri nomi, spesso altrettanto celebri, che mi hanno indirizzato in via definitiva alla narrativa di spionaggio ricca di azione, tipica di una corrente pulp specifica del Bel Paese. E perché non poterne fare parte? Mi sono detto un giorno. Avevo sopito la voglia di scrivere più di una ventina di anni prima, giovanotto assorbito dalla saga a forte connotazione ninjitsu elaborata proprio da Van Lustbader. Quel desiderio, placato dalla convinzione di non essere in grado di elaborare simili scritti e da un forte impegno profuso nell’acquisizione di importanti obiettivi sotto il profilo lavorativo, si è quindi riaffacciato con prepotenza e da lì si è sviluppato tutto un nuovo percorso, condiviso fin dall’inizio con Franco Forte che è stato prodigo di consigli e indicazioni. Con lui si è anche discusso di come un nome italiano potesse precludere visibilità a un autore di spy action. Così, prima ancora di pubblicare con Mondadori, scelsi questo nick che spunta per incanto dopo una serie immane di tentativi poco convincenti.
GeC: Domanda inevitabile per chi, come te, ha vinto uno dei premi più prestigiosi legati alla narrativa di genere italiana qual’è il Premio Altieri: ci racconti la telefonata di Franco Forte che ti annunciava la vittoria? E ancora, ricordi le tue sensazioni alla premiazione durante il MystFest di Cattolica?
JH: Che ricordi stupendi fai riaffiorare. Stavo facendo la pennichella del dopopranzo, classica per noi over fifty, quando la vibrazione del telefono mi svegliò. Dapprima ne fui infastidito, pensando a qualche cliente che avesse necessità di chissà quale consulenza (più che Agente Segreto io sono in realtà Agente di Commercio), poi guardai il monitor del telefono e vidi di chi si trattava. Subito pensai che volesse ringraziarmi per il manoscritto ma che, purtroppo, il premio era stato assegnato ad altra persona. Feci un salto sul divano quando Franco mi comunicò l’inaspettato e non ebbi più necessità di dormire per un paio di giorni. Per quanto concerne il MystFest ahimè, quello è un tasto semi dolente. Penso che si sia svolto nei giorni più infernali del 2020, contraddistinti da un tasso di umidità elevatissimo e un caldo micidiale. Io sudo parecchio già di mio, questione di qualche chilo di troppo. Tale caratteristica, unita a una forte tempesta emotiva, ha fatto sì che salissi sul palco in uno stato tremendo: sembravo appena uscito da una sauna fatta con gli abiti addosso. Non solo: chi stava per consegnarmi il premio era nientemeno che l’immenso Valerio Massimo Manfredi e io boccheggiavo come un pesce fuor d’acqua! Insomma, avevo una vergogna bestiale ma, alla fine, nessuno sembrò farci caso, sono stati tutti magnifici. Come se non bastasse non sono abituato a parlare davanti a un pubblico tanto nutrito e preparato, pertanto le due cose unite insieme mi avevano accompagnato a uno stato simile alla catatonia. Quando la presentatrice mi esortò a pronunciare un breve discorso so che aprii bocca e andai avanti a parlare per un paio di minuti. Al termine udii un forte applauso e la signora sul palco si congratulò con me per i bei concetti espressi. Ancora oggi mi chiedo cosa diamine io possa avere detto ma poi la bufera passò e, una volta rientrato nei ranghi, corsi alla ricerca di una doccia gelata. Ringrazio Dio per avermi regalato un’esperienza tanto gratificante che, tra i tanti aspetti positivi mi ha permesso di poter conoscere un sacco di persone meravigliose.
GeC: Conosciamo meglio gli eroi della serie di Roachford. Nikolas Rivera (nome di battaglia Roachford) è un agente operativo di Dark Gear, “un’intelligence occulta, forse deviata, di sicuro violenta”, insieme ai suoi due inseparabili compagni di scorribande: Mirabela Ionescu (nome di battaglia Orchid), che è anche compagna di Nikolas e Ronald Sinclair (nome di battaglia Blackbear) che è praticamente legato a Roachford da un rapporto fraterno. Ci vuoi parlare più in dettaglio della squadra e dell’intelligence Dark Gear? Da dove hai tratto ispirazione per la loro genesi?
JH: Malko Linge, aka SAS, lavora per la CIA per permettersi le folli spese necessarie all’infinita ristrutturazione del castello di famiglia, ha gli occhi dorati, una fidanzata che non è necessariamente un’avventuriera e un maggiordomo che invece è un assassino matricolato e che lo aiuta nello svolgimento delle avventure in cui si infogna. Nikolas Rivera, in arte Roachford, lavora per Dark Gear al fine di riuscire a onorare i debiti che contrae il bordello di lusso di cui è socio principale nel centro di Londra, ha gli occhi color cobalto, una fidanzata molto bella di nome Mirabela che, oltre a essere consocia, è una scappata di casa come lui, quindi salta e uccide senza particolari ansietà. Al posto del maggiordomo ho inserito l’amico fraterno Ronald, terzo socio nel locale di spogliarelli, modellato sulle fattezze dell’Undertaker di Wrestlermaniaca memoria. Insomma: ispirazione sì ma più che altro la vedo come una citazione e un omaggio. A questo punto serviva un datore di lavoro particolare, almeno dal mio punto di vista. Giudicato troppo scontato il SYS inglese, è nata l’idea dell’Ingranaggio Oscuro. Ma nella realtà una struttura simile potrebbe essere plausibile? Sì, e il perché lo racconto proprio nel romanzo appena uscito, quindi accorrete in massa a leggerlo se volete scoprire anche questo essenziale retroscena.
GeC: E veniamo ai giorni nostri con la pubblicazione di ‘Agente Roachford. Dossier al-Siddiq’. E’ un romanzo che veramente viaggia a velocità molto sostenuta e non lascia al lettore un attimo di tregua! Nella sua caccia a questo nuovo Califfo, re del terrorismo islamico, al-Siddiq, Roachford si trova a schivare pallottole dal Messico, all’Irlanda passando dall’Inghilterra! Vuoi raccontarci meglio tu la storia, senza ovviamente entrare troppo nel dettaglio, per non togliere il piacere ai nostri lettori di scoprire questo romanzo veramente adrenalinico!
JH: Qui mi metti veramente in crisi: è quasi impossibile non spoilerare nulla del serrato gioco di intrighi e vicende se si decide di raccontare qualcosa del romanzo. Diciamo allora questo: il lavoro si riallaccia al precedente “Caccia all’Incubo” riproponendo diversi tra i personaggi visti all’epoca. Faccio riferimento ai narcos in capo al Cartel de Sangre, i fratelli Muñoz, e al loro più fidato collaboratore, Tiburón Carmona (citazione non tanto nascosta delle Squalo di bondiana memoria interpretato sul grande schermo dal compianto Richard Kiel). Il nostro eroe si trova in Messico proprio per ostacolare le operazioni di questi affabili assassini. Ma qualcosa che accade in Inghilterra costringe Roachford a tornare in patria proprio mentre l’organizzazione terroristica che fa capo al fantomatico Califfo compie un attentato devastante in piena Londra. Da lì in avanti le cose si complicheranno sempre più e sopravvivere all’inferno diventa particolarmente difficile.
GeC: Ammetto che, a lettura iniziata, sono rimasto molto colpito perché hai indubbiamente fatto una scelta coraggiosa! Senza fare spoiler ma possiamo dire che hai letteralmente messo a soqquadro il tuo universo narrativo mentre generalmente, nella narrativa seriale, la tendenza è quella di essere conservativi, in modo tale che il lettore si affezioni a luoghi e personaggi. Come mai questa scelta?
JH: Vorrei che i miei lettori si abituassero ad aspettarsi colpi di scena e imprevisti a piè sospinto, soprattutto per quanto riguarda le certezze dei protagonisti, che tali non dovrebbero essere: la vita è continua evoluzione quindi perché non portarne un po’ nel mondo della fantasia? Soprattutto però sentivo l’esigenza di staccarmi dalla formula “omaggio a SAS” per sviluppare un percorso indipendente. Ignoro quanti romanzi potranno uscire di questa saga ma non sarei riuscito a reggere a lungo lo schema iniziale. Anche per futili motivi legati a un rifiuto della cristallizzazione.
GeC: Certo che voi della ‘Italian Legion’ ci andate giù pesante! Pensando anche alla new entry Scarlett Phoenix e al suo recente romanzo d’esordio ‘RED Reaper. Il gioco del diavolo’, l’asticella della violenza si è sensibilmente alzata ma, personalmente, reputo che in storie di questo genere ci possa stare, danno senz’altro qualcosa in più. Come vedi questo aspetto e, in generale, quali sono gli ingredienti (siamo o non siamo su GialloeCucina?!…) che secondo te, deve assolutamente avere, una buona storia di spy-action?
JH: La spy -action, come detto, è una prerogativa quasi esclusivamente italiana, un espediente per ravvivare un filone, quello dalla spy-story tradizionale, con ingredienti che riescano a ingolosire i lettori nostrani. Il proliferare di film d’azione spesso molto violenti è segno dell’evoluzione dei gusti degli spettatori, anche se è pur vero che molte di suddette pellicole sono sempre più farcite con un’ironia pungente e, spesso, fuori luogo. Chi legge vuole trovare le ricette dei primi nei romanzi che decide di assaggiare. Penso sia qualcosa di radicato a livello emozionale. Ben vengano sparatorie, scontri fisici e inseguimenti adrenalinici quindi, purché ben descritti, essenziali, veloci e che, soprattutto, tirino in ballo protagonisti capaci, addestrati ma che non devono risultare super eroi senza senso. I nostri ormai sono molto preparati a riguardo ma anche dall’estero molti autori (mi viene in mente Andy McNab in primis) poggiano il proprio estro creativo su tali basi. Quel che appare certo è come le regole dello spycraft tradizionale privilegino la nascita degli intrighi, il loro sviluppo a mezzo indagine. Lo scrittore più letto al mondo in materia di spionaggio è l’inarrivabile Daniel Silva. Nei suoi scritti la violenza non è assente ma resta una comprimaria di secondaria importanza, fa a malapena capolino nei suoi lavori. Che, per inciso, ti tengono con il fiato sospeso dalla prima pagina all’ultima. Ciò che propone la Legione è un mix avventuroso che va vissuto a tutta velocità e al quale mi adeguo ben volentieri.
GeC: Romanzi come il tuo spesso hanno trame veramente complesse per gli intrighi, i doppi-giochi e il numero di personaggi ed agenzie di intelligence che possono entrare in gioco. Come organizzi il tuo lavoro per fare in modo che, alla fine, i conti tornino e tutti gli intrecci abbiano una propria conclusione nell’economia della storia?
JH: Temevo arrivasse una domanda simile, perché porta inevitabilmente a galla la vena di follia che mi attraversa da sempre. Non prendo mai appunti, la storia mi si delinea in mente nei momenti più inusuali: quando sono intento a guidare l’auto, in pausa pranzo, nel mezzo di una passeggiata, guardando un film che non c’entra nulla con ciò che su cui sto rimuginando. A quel punto capisco che è venuto il momento di buttarla giù, rigorosamente senza scaletta. Nei momenti immediatamente precedenti, che vanno da pochi minuti a giorni interi, mi immergo nello studio della prima ambientazione che si andrà a leggere, entro nei dettagli, cerco di venire a conoscenza di più cose possibili su luoghi, momenti e personaggi. E poi parto, consapevole che ho iniziato dal punto A e che, quando arriverò al punto Z dovrò averlo fatto incastrando tutti i tasselli al proprio posto. Di solito conosco già bene cosa rappresentino i due punti, ciò che scaturisce durante il percorso nasce da intuizioni del momento, cambi di umore, simpatia verso un comprimario piuttosto che un altro. Per collimare gli obiettivi torno spesso indietro a correggere discorsi e comportamenti degli attori della vicenda e infine, incredibile ma vero, arrivo a scrivere la parola fine e tutti sono serviti di barba e capelli. Almeno credo… bisognerebbe capire se da parte loro i lettori trovino qualche punto incomprensibile o non chiuso a dovere nei miei lavori; posso confessare di non avere mai ricevuto critiche in questo senso. Spesso mi capita di definire il lavoro con un epilogo aperto a episodi futuri. Per ora funziona così, non escludo di cambiare metodologia in futuro.
GeC: Altra prerogativa del genere spionistico è l’aspetto tecnico e per questo intendo, sia la conoscenza delle situazioni internazionali in cui si svolge la vicenda, sia gli armamenti e i mezzi utilizzati dai vari personaggi. Anche tu raggiungi un livello di dettaglio che veramente da al lettore la sensazione di leggere un articolo di cronaca più che una storia romanzata e per fare questo, a mio avviso, ci vuole un grande equilibrio, per evitare di essere eccessivamente descrittivi penalizzando la scorrevolezza del testo. Beh io credo che tu in questo sia veramente bravo! Come ti documenti per questi aspetti dei tuoi romanzi?
JH: Io credo che serva avere almeno una conoscenza di base delle tematiche che si affrontano. Poi al giorno d’oggi le possibilità per documentarsi sono infinite. Dai link a cui rimanda Wikipedia ai lavori consigliati da amici e colleghi scrittori del genere, a qualche manuale di armi e così via. Questo era l’aspetto che più di ogni altro mi spaventava nel periodo in cui non mi osavo a provarci. Una volta costruite le proprie fonti tutto diventa più facile. L’importante è, tra un lavoro e l’altro, non smettere mai lo studio.
GeC: Se è vero che la soddisfazione più grande, in termini di riconoscimenti, te l’ha data l’Agente Roachford è anche vero che, il nome di Jason Hunter, è entrato di prepotenza nel mondo dell’editoria con un altro mitico personaggio, stiamo parlando di Wildguy! Decisamente lo spionaggio è la tua ‘comfort zone’ e posso dire che ti trovi veramente a tuo agio in questo genere. Con ‘Wildguy – Il giglio del ragno rosso’ uscito nel 2021 per le Edizioni della Goccia, siamo alla quarta avventura, puoi parlarci meglio di questa serie?
JH: Colui che citi è stato il mio primo personaggio: nelle mie intenzioni voleva essere un “balordo de’ noantri” del quale avrei voluto realizzare un romanzo one shot da distribuire in qualche copia agli amici e ai conoscenti degli immediati dintorni. Insomma, niente di ambizioso, se non la soddisfazione di avere scritto un romanzo senza alzare troppa polvere. Difatti il personaggio Wildguy è un mercenario italiano, nato e residente a Casale Monferrato (guarda caso proprio come me…), donnaiolo incallito che le donne le conquista, oppure le paga, ma sempre le stropiccia e le allontana da sé. Insomma, viaggia leggero e adesso non iniziate a fare i debiti accostamenti, io negherò sempre tutto. Il suo vero nome è Franco Senesi, che era poi il mio nickname quando, negli anni ottanta, facevo lo speaker in una radio libera locale (che tempi eroici!). Wildguy è nato strizzando l’occhio a Chance Renard, il Professionista di Stephen Gunn/Stefano Di Marino, e il Nicholas Linnear protagonista dell’esalogia del Ninja Bianco di Eric Van Lustbader. L’incontro con il magico Davide Indalezio è stato propizio. Davide è il fondatore e titolare di Edizioni della Goccia, editrice indipendente con sede sempre qui, a Casale. Il guanto calzava alla perfezione e siamo partiti con una saga che è continuata nel tempo catturando una fetta di lettori sempre più numerosa. Per cui i romanzi si sono moltiplicati, il marchio Jason Hunter godeva già di un certo seguito al momento dell’esordio per Mondadori. Roachford ha fatto sì che molti nuovi utenti andassero a recuperare i precedenti Wildguy. La collocazione: credo che le avventure di Franco Senesi, pur inseribili nel filone spy-action, avendo questa forte connotazione goliardica siano meno adatte alla routine di Segretissimo, Roachford è stato studiato proprio per il mensile da edicola ed è riuscito nell’intento di ritagliarsi un ottimo spazio. Durante la stesura del racconto “Gli angeli di Kabul” apparso sull’antologia Big Wolf (Segretissimo 1666 luglio 2022), celebrativa del genio di Alan D Altieri, ho deciso di fare incontrare i due personaggi e di ambientare le loro storie nello stesso universo narrativo. I risultati iniziano a vedersi in quest’ultimo “Dossier al-Siddīq”, e sempre più personaggi dell’una o dell’altra serie interagiranno in un unico cosmo fatto di avventura. Per quanto riguarda Franco Senesi, abbandonato al termine dell’ultimo romanzo in una situazione equivoca, vorrei scrivere una saga che stia tra i sei e gli otto volumi totali. Dipenderà anche dai lettori e dall’editore…
GeC: Chiudiamo la panoramica delle tue pubblicazioni con diversi racconti lunghi usciti nelle collane di spionaggio: Dream Force, Spy Game e Delos Passport tutte edite da Delos Digital. Ci vuoi fare una carrellata di queste serie? In cosa differiscono tra loro i racconti che hai realizzato per le varie serie?
JH: I racconti di cui parli, editi solo in eBook, sono stati pubblicati con il mio vero nome, Franco Luparia. Sono stato arruolato da Stefano Di Marino per Dream Force e Spy Game. Quelli inseriti nella prima collana, a causa delle cover e dei contenuti, mi causano ancora qualche imbarazzo e qualche pacca sulle spalle sferrata con goliardia da estimatori del genere…erotico? Nah, quelli erano proprio porno-action con dovizia di particolari. Insomma era un gioco che però riscuoteva un certo successo e che ci ha divertiti tutti. Si torna a bomba con Spy Game: agli autori che intervenivano veniva chiesto di produrre racconti di lunghezza breve o medio/lunga, ambientati all’epoca della Guerra Fredda (la prima, quella finta forse…). La sfida è allettante: quale piacere andare a ritroso nel tempo per approdare ai tempi d’oro dello spionaggio, documentarsi, dare credibilità, nel linguaggio come nei comportamenti umani e nell’intrecciarsi di eventi che potrebbero far parte davvero della Storia. Per finire: Fabio Novel è stato il mio fantastico mentore per Delos Passport, collana che si occupa di presentare autori vari impegnati a raccontare vicende senza limitazioni di genere, se non quelle etiche (dal sentimentale all’avventura, per intendersi), purché ambientati con dovizia di particolari riguardanti geografia, storia, cibi, e usanze delle location scelte, rigorosamente esterne al Bel Paese. La mia Irina ha iniziato il suo cammino nella costa basca Francese per poi approdare, nel sequel, in Cecenia.
GeC: Com’è stata la tua esperienza nell’entrare nel mondo dell’editoria, quali le difficoltà e cosa ti senti di consigliare ad un aspirante scrittore, sia nella realizzazione del proprio libro, che nel modo di proporsi?
JH: Si tratta di un percorso lungo, difficile e costellato di trappole. Il mio consiglio è di scegliere con cura coloro ai quali ci si affida, la truffa è dietro l’angolo. Bisogna informarsi e non avere fretta. Io sono stato fortunato ma anche parecchio attento. Non mi sento tanto autorevole da dare consigli sul come realizzare un libro se non quello di leggere molto e assorbire di più ancora. Poi ci sono tantissimi corsi per chi voglia imparare a scrivere narrativa. Vale il consiglio rivolto qualche riga più in su. Se vi affidate alle persone giuste saranno loro a portarvi alla pubblicazione senza che dobbiate sborsare un euro. Il che mi ricorda che, poi, c’è il self-publishing ma siate consci che, se proprio nessuno vi considera in altro modo, forse il percorso iniziato non è a voi consono.
GeC: Proprio di recente è stato istituito un premio in memoria del Grande Stefano Di Marino/Stephen Gunn, uno dei padri dello Spionaggio italiano e, in assoluto, uno dei più grandi narratori. So che hai sempre ringraziato Stefano per il suo supporto e la sua influenza nella tua scrittura. Ci vuoi lasciare un tuo ricordo di lui?
JH: Mi manca profondamente.
GeC: Quali sono l’autore e il romanzo nel genere spionaggio che hai apprezzato particolarmente? Cosa leggi nel tempo libero?
JH: Oggi sono particolarmente attratto da Daniel Silva. Lo consiglio a tutti gli amanti del genere senza dilungarmi troppo: è da leggere! A parte i suoi lavori e tutti i Segretissimo recupero tutto ciò che trovo di Andrea Carlo Cappi, con particolare riferimento alla sua Nightshade. Vecchi western, il franchise di Tom Clancy, thriller americani e inglesi, in misura decisamente minore quelli di autori svedesi. Fumetti? Anche: la serie regolare di Batman e quella dedicata al giovane Tex Willer. Poca sci-fi, l’eccezione che conferma la regola è italiana, Francesca Cavallero.
GeC: Immagino che, in qualche modo, possano essere fonte di ispirazione per te anche film o serie TV a tema, ce n’è qualcuno che ci vuoi segnalare in particolare?
JH: Questo è un altro universo infinito e fare qualche nome risulta riduttivo. Breaking Bad, Ozark, Tom Clancy’s Jack Ryan, Teheran e avanti di ‘sto passo…
GeC: Arriva un regista e ti dice che vuole mettere in cantiere un film/serie TV con protagonista Roachford o Wildguy, quali attori vedresti bene e magari hai già preso come riferimento per questi due personaggi?
JH: Nessun dubbio su Franco Wildguy Senesi: l’attore giusto per me è Michael Fassbender. Avrei anche il volto per una delle comprimarie più hot, Marlene von Herbenstein ma non so se posso citare la Brandy Love di una quindicina di anni or sono… Roachford invece lo vedrei bene interpretato da un Richard Madden con i capelli neri, occhi cobalto e qualche centimetro di altezza in più.
GeC: Hai già qualche nuovo progetto editoriale nel cassetto? Pensi di cimentarti anche in un altro genere letterario in futuro?
JH: Più che di progetti si tratta di desideri. Il terzo Roachford è a buon punto, quindi si tratta di una realtà, sto lavorando a un racconto ancora top secret e, in quanto a sogni, vorrei cimentarmi in un western di quelli belli, con tanto Selvaggio Ovest, pellerossa, damigelle da salvare e duelli tra gunman su assolate Main Streets. Anche se qualcosa di fantascientifico non ci starebbe male. Purtroppo il tempo è tiranno, vedremo…
Ti ringraziamo tantissimo per la tua disponibilità, è stato veramente un piacere fare questa bella chiacchierata con te! Ora, come tradizione di GialloeCucina ti chiediamo di salutarci con una ricetta che ami particolarmente e con una citazione che, in qualche modo, ti definisca:
JH: io amo da morire il pesce crudo, ma sbavo anche per bistecconi alti quattro dita, cotti al sangue e con montagne di patatine fritte per contorno. Chiederei piuttosto a voi di segnalarmi qualche sfiziosità relativa, a ognuno il suo! Grazie a Voi di GialloeCucina per la squisita ospitalità. E ricordate che: “il vino aggiunge un sorriso all’amicizia e una scintilla all’amore!”
Jason Hunter