Innanzi tutto grazie per la tua disponibilità, come hai iniziato la tua attività di scrittore?
Ho cominciato a scrivere con intenzioni serie alla fine del liceo. Il primo libro mi tenne occupato per cinque anni e adesso non so nemmeno più dove sia in casa, dovrei guardare. Non lo pubblicherò mai, comunque. Però è stato una palestra. Da lì, quattro libri, tutti diversi e tutti negli ultimi quattro anni. Mesi fa su Repubblica è uscito un articolo che trattava di alcuni giovani autori, fra cui c’ero anch’io. Il capoverso che mi introduceva recitava: “Tanta gavetta per Brentari…”. Ecco, la storia più o meno è quella.
Nel fuoco si fanno gli uomini è il tuo primo libro di genere noir ma non è la tua prima pubblicazione assoluta, come è nata l’esigenza di cimentarti in questo genere e come ti sei trovato in questa nuova veste di scrittore pulp?
La veste, in realtà, è quella vecchia. La stesura originale di Nel fuoco si fanno gli uomini risale al 2011-2012, prima che pubblicassi qualsiasi altra cosa. È anche quello che mi piace davvero scrivere, oltre che leggere. Il noir permette di frugare la realtà come un medico legale fruga un cadavere. È un genere letterario funzionale e onesto, che non ti prende in giro e ti racconta le cose per come sono.
Uno degli aspetti che più ho apprezzato nel tuo libro è stata la cura con cui hai definito i tuoi personaggi, principali o comprimari che fossero, la psicologia di ognuno di loro è veramente ben tratteggiata; cosa ti ha ispirato?
Grazie, intanto. Il centro del romanzo è la Colpa. Nello specifico, la colpa del protagonista, che si sente responsabile per la morte di alcune persone cha amava. Ho assegnato a ciascuno un carattere specifico e una storia personale. Ognuno ha il suo dolore alle spalle, e il dolore rende profondi i personaggi, così come le persone. A un certo punto si sono alzati dalla pagina. Così ho detto loro: “Okay, fratelli, adesso siete pronti”.
Altro punto forte la trama, costruita su due storie che viaggiano inizialmente su binari diversi per poi incontrarsi a comporre un puzzle perfetto; ancora una volta ti chiedo da dove hai tratto spunto per la/le storie che costituiscono la spina dorsale del libro?
La trama è questa: a Milano una prostituta viene uccisa in una casa piena di soldi e cocaina, mentre un sindacalista della Fiom scompare; attorno si muovono gangsters, imprenditori, operai, piccoli criminali, pervertiti, poliziotti a volte corrotti. È scontrandosi con loro che il protagonista, il commissario Valtorta, cercherà di arrivare in fondo e regolare vecchi conti col passato.
La trama per me è molto importante. Soprattutto per una questione di rispetto verso i lettori. Il noir è anche un genere di intrattenimento, quindi uno scrittore non se la può cavare con una storiella raffazzonata che tira le trecento pagine per inerzia. Mi piace concepire trame interconnesse, dove ogni personaggio abbia avuto un contatto con almeno due/tre attori del mosaico. Prima di cominciare a scrivere riempio alcune decine di fogli di appunti, poi stilo un piano dei capitoli su carta, e infine li intreccio in una sorta di sceneggiatura al computer. Il tutto mi porta via alcuni mesi, ma dopo è più facile aggredire la tastiera e la storia è migliore.
Parlaci del tuo protagonista, Alessandro “Serpente” Valtorta, quanto c’è di Ivan Brentari in lui?
Spero il meno possibile, visto che è un ex-eroinomane e un ex-delinquente. Però qualcosa c’è. Siamo nati tutti e due nello stesso quartiere di Milano, Corvetto, un quartiere difficile al quale comunque voglio e vorrò sempre bene. E poi credo che condividiamo un certo tipo di morale fintamente cinica.
Diciamo che viene fatto un film tratto dal tuo libro e ti viene data l’opportunità di scegliere regista e attore principale ad interpretare Alessandro “Serpente” Valtorta, chi scegli e perché?
Regista: Elio Petri, ma prima bisognerebbe resuscitarlo. Attore: Vincent Cassel, un grande. Ha gusto nello scegliersi le mogli, e poi è buono e cattivo allo stesso tempo, come Valtorta.
C’è un collega scrittore che apprezzi in modo particolare, uno con il quale, magari, ti piacerebbe scrivere un libro a quattro mani?
Ho scritto due libri a più mani ed è una gran fatica, non so se vorrò replicare. In Italia c’è più di un autore che stimo, ma, per l’hard boiled, leggo prevalentemente letteratura americana. Però adesso che ci penso, cambiando continente, mi piacerebbe scrivere un noir storico con Mo Yan. Senti che bomba: all’indomani della proclamazione della Repubblica Popolare, agenti cinesi strafatti d’oppio rapiscono Giulio Andreotti e lo portano nel Guangdong per fargli dirigere una fattoria collettiva. I servizi italiani mandano in Cina una squadra di cattivissimi agenti per recuperarlo, solo che nel frattempo Giulio ci ha preso gusto, è diventato una celebrità, ha ucciso Mao e adesso è il capo del Partito Comunista Cinese. Bisogna vedere se Mo Yan accetta.
C’è un libro che ti ha fatto pensare: “Caspita! Questo avrei voluto scriverlo io!!!”
“American tabloid” di James Ellroy.
Cosa fa Ivan Brentari quando non scrive? Quali sono le tue passioni, i tuoi hobby?
Cose normali: cucino, leggo, scrivo qualche pezzo per un blog che tengo sul mio sito internet, vedo i film, le partite di calcio, niente di che. Ultimamente sto andando a correre, fa molto bene.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Ovviamente ci auguriamo di rivedere presto il nostro Alessandro Valtorta!
Mi piacerebbe che Valtorta fosse protagonista di una trilogia. Nel fuoco si fanno gli uomini è il libro della Colpa. Il secondo sarà quello dell’Ambizione, il terzo quello della Paura. Cercherò di espandere progressivamente la trama, di coinvolgere personaggi sempre più vicini al potere.
Grazie per la bella chiacchierata. Ora, come tradizione di Giallo e Cucina ti chiediamo di salutarci con una citazione ed una ricetta che ami!
Grazie a voi! La citazione è di Ross Macdonald e forse è un po’ usurata, ma mi piace molto: “Alla fine, possiedo il luogo in cui sono nato, e sono posseduto dal suo linguaggio”.
Ricetta: Boeuf bourguignon, uno stracotto di manzo nel vino rosso con funghi, carote, cipolle e patate; perlomeno io lo faccio così, ma so che non è una versione ortodossa.