Oggi Presentiamo...

Oggi parliamo con… Enrico Luceri

 

Intervista a cura di Dario Brunetti e Massimo Ghigi

 

1-DB, MG- Diamo un caloroso benvenuto su Giallo e Cucina a Enrico Luceri, col suo ultimo romanzo Il vizio del diavolo e partiamo subito con la prima domanda. MG- Il libro è un dichiarato omaggio al cinema gotico di Pupi Avati; personalmente ho ritrovato effettivamente le atmosfere inquietanti di film come, per esempio, ‘Il nascondiglio’; com’è nato il desiderio di realizzare questo omaggio e perché proprio Pupi Avati? Oggi parliamo con... Enrico Luceri

Ho visto e rivisto il dvd del film “Il nascondiglio”, che avete citato opportunamente. Il film è in due versioni. La seconda è quella commentata sequenza per sequenza dal regista Pupi Avati. Mi ha colpito la sua testimonianza e in particolare la deliberata sua intenzione di costruire la tensione della storia attraverso l’ambientazione, l’atmosfera, il clima, le ombre, l’ambiguità e i colpi di scena. Quindi la suspense, quella vera, che spaventa, priva di effetti speciali. Ho voluto scrivere la mia storia con i medesimi elementi, con l’obiettivo di coinvolgere i lettori, catturare la loro attenzione, spingerli a condividere le emozioni dei personaggi. In altre parole, sentirsi trasportati dalla confortevole, rassicurante casa propria nel freddo e labirintico collegio, sperduto nel buio di una tetra e desolata campagna. Lo spunto iniziale è stato il desiderio di descrivere le contraddizioni, le lacerazioni interiori, le carenze affettive della giovane Corinna, e di capire da dove nascessero la sua rabbia, la ribellione, l’istinto di ferire il prossimo. È lei il personaggio attorno al quale ho realizzato la storia, un mattone dopo l’altro. Questo romanzo è una delle mie storie che amo di più. Perché quando scrivo una storia la “vedo”con gli occhi dell’immaginazione, come se si svolgesse davanti ai miei. Dunque ho bisogno di chi “interpreta” nella mia mente i personaggi. Nel ruolo di Corinna c’è mia figlia, e sono convinto che sia stata molto convincente. La sua presenza rende “Il vizio del diavolo” un romanzo di famiglia, perché ovviamente ci sono pure io, anche se si scopre all’ultima pagina, come in ogni giallo!

 

2-DB – Tra gli autori italiani sei uno dei più prolifici e riesci come pochi ad abbracciare più generi letterari, passando dal giallo al thriller finendo con l’horror, tecnicamente parlando io non penso che il passo sia completamente così breve, ci sveli qualche segreto che può essere utile e propedeutico magari per qualche giovane autore?

I miei segreti (intendo per segreto ciò che conosce una sola persona) non riguardano la mia attività letteraria ma solo la mia vita privata! Diciamo che mi aiuta molto una grande attenzione, celata accuratamente dietro un aspetto impassibile, a tutto ciò che mi circonda. Ascolto sempre i miei interlocutori, li osservo, registro tutto, e ricordo moltissimo. Un’abitudine che nasce nella mia adolescenza e continua tuttora, dopo oltre cinquant’anni. Il comportamento degli altri ispira la mia fantasia, intuisco nelle pieghe della coscienza altrui colpe, rancori, rimorsi, rimpianti dei miei personaggi, che spesso diventano moventi per omicidi efferati. Un altro potente incentivo sono letture e visioni di romanzi e film, che in certi casi ho visto tantissime volte, e riescono sempre ad alimentare la mia immaginazione. Per antica abitudine, annoto ogni idea, pensiero, sia pure un nome, un luogo, una circostanza. Si tratta del seme che poi germoglierà e diventerà una storia. L’unico consiglio che mi sento di dare è proprio questo: scrivere sempre ciò che nasce nella nostra mente, non sottovalutare o ignorare le ispirazioni della nostra fantasia, perché con il tempo riusciremo a dar loro il senso compiuto di una storia.

 

3-MG – Uno degli aspetti che più ho apprezzato del libro è stata la tipica situazione dove i protagonisti si trovano isolati e in preda ad uno spietato assassino; quali sono i romanzi
di questo genere che Enrico Luceri ha apprezzato e si sente di consigliare agli amici di GialloeCucina?

L’archetipo di questo genere di storie non può che essere “Dieci piccoli indiani”, della regina del giallo Agatha Christie. Consiglio di leggerlo con particolare cura per il perfetto equilibrio della struttura narrativa, dell’ambientazione, del movente dell’assassino, della suspense e dell’atmosfera. Cioè gli stessi elementi indispensabili per un romanzo giallo di cui ho parlato in una risposta precedente. Consiglio anche l’omonimo film di René Clair del 1945. Il bianco e nero della pellicola disegna ombre e profili inquietanti che suggeriscono efficaci soluzioni nella descrizione di una scena piena di tensione nella narrativa letteraria.

 

4-DB – Sei molto legato a una delle regine del giallo per eccellenza, Agatha Christie che ha creato due personaggi straordinari come Poirot e Miss Marple, quanto ha influito nei tuoi romanzi? Inoltre essendo estimatore del personaggio Poirot vorrei fare un gioco anche grazie alle tue conoscenze in ambito cinematografico. Due grandissimi attori del calibro di Albert Finney e Peter Ustinov hanno interpretato Poirot per il cinema e l’eccellente David Suchet per la tv, ti chiedo a chi sei particolarmente affezionato ma vorrei che mi trovassi un aggettivo per tutti e tre che riesca a rendere l’idea ai nostri lettori della loro difficile interpretazione.

Per me Agatha Christie è la migliore esponente del giallo vero per un motivo semplice, quasi elementare, che si comprende leggendo le sue opere. La scrittrice intendeva praticare il giallo, che per lei è un fine, e non un mezzo, come accade spesso con chi vuole solo mutuare le caratteristiche del genere (legittimamente) per raccontare una storia. Ma in quest’ultimo caso non si può parlare di giallo, ma di un genere narrativo diverso, diciamo meno “puro”. Io amo le sue trame inesorabili, sono convinto che la maggior parte di esse, grattata via la patina del tempo e quegli elementi legati inevitabilmente al passato, siano ancora attuali. Cerco dunque di costruire delle trame dove il giallo classico è coniugato con le atmosfere thrilling della grande stagione cinematografica italiana degli anni ’70 e seguenti del secolo scorso, il cui principale artefice è Dario Argento. Adoro anche alcuni aspetti caratteriali della Christie: modestia, riservatezza, discrezione, umiltà, rispetto. Li condivido, e possederli rende più serena la mia coscienza.

Il mio Poirot preferito sullo schermo (cinematografico o televisivo) è il grandissimo attore Albert Finney. Non potrei definirlo che il miglior Poirot. David Suchet ha il merito di averlo interpretato con mirabile attenzione in ogni romanzo e alcuni racconti trasposti per il video. Professionale e un po’ cerimonioso. Ustinov è un eccelso attore, il suo Poirot è affascinante, istrionico, un po’ “gigione”, e molto simpatico.

 

5-DB – Nella precedente domanda mi sono permesso di omettere Kenneth Branagh (parere esclusivamente personale), non lo ritengo un attore all’altezza degli altri nell’interpretazione di Hercule Poirot, a mio avviso non esistono dei Poirot 2.0, al contrario direi che è un regista di spiccate qualità. Cosa ne pensi a riguardo?

Branagh è l’attore anglosassone attuale che realizza le migliori messe in scena scespiriane. E in questo ruolo di attore e regista lo amo. Ma al suo posto, eviterei accuratamente di avvicinarmi a Poirot, visto che di questa singolare iniziativa iconoclasta che stravolge le caratteristiche del personaggio a mio parere non esiste necessità.

 

6-MG – Penso che tu sia uno dei massimi esponenti italiani del giallo ‘classico’ in stile Agatha Christie per intendersi; come spieghi il fatto che i lettori (come il sottoscritto) continuano ad apprezzare situazioni ‘tipiche’ e magari già lette? Forse il fatto di ‘andare sul sicuro’?… di sapere in qualche modo a priori che si sta leggere qualcosa che sicuramente ci piace?

Credo che la ragione reale sia forse inconsapevole.

Il giallo classico non è immobile, si evolve mantenendo le sue caratteristiche e adattandole al cambiamento dei tempi e dei gusti dei lettori ma salvaguardando la struttura principale. Evoluzione ha un significato chiaro: un cambiamento di stati, dove quello attuale ha ancora qualcosa del precedente e già qualcosa del successivo. Evoluzione, non rivoluzione. Che invece è uno stato che deriva da un ribaltamento del precedente, modificandolo radicalmente (perlomeno in teoria). Credo che in passato tentativi velleitari di “svecchiare” il giallo canonico “contaminandolo” abbiano finito per rivoluzionarlo, modificandolo geneticamente fino a renderlo irriconoscibile. Legittimo, ancora una volta, ma si tratta comunque di qualcosa di diverso dal giallo vero.

Credo che i lettori affezionati del giallo apprezzino proprio questo tentativo di scrivere romanzi canonici ma adeguati ai tempi. Storie oneste, scritte da chi ama il genere che pratica, il giallo.

C’è ancora qualcuno che sostiene che il giallo classico sia superato. In questi caso, mi ricordo una sequenza del film “Il divo”, diretto da Paolo Sorrentino, dove Giulio Andreotti (interpretato dall’attore Toni Servillo) ricorda con queste parole una sua esperienza giovanile:

 

“Lei ha sei mesi di vita” -mi disse l’ufficiale medico alla visita di leva.

Anni dopo lo cercai, volevo fargli sapere che ero sopravvissuto, ma era morto lui. È andata sempre così: mi pronosticavano la fine, io sopravvivevo, sono morti loro.

 

Sono parole che potrebbero commentare efficacemente il risultato della tenace ostilità dei detrattori del giallo classico. Il quale rimane, mentre le sue pallide copie sbiadiscono fino a sparire.

Grazie soprattutto alla fedeltà e alla passione dei lettori.

 

7-DB – Ti andrebbe di parlare del tuo esordio da giallista com’è stato l’impatto con la scrittura e col tuo genere che ti ha contraddistinto nel corso degli anni ?

Si può dire che io abbia sempre scritto, fin dall’adolescenza. Però non me ne accorgevo. Mi limitavo a registrare le mie esperienze con adulti e coetanei, che in seguito, come ho già spiegato, avrebbero contribuito ad alimentare la mia fantasia. Ma oggi non esisterei come autore di gialli o comunque storie piene di suspense, che fanno paura, se non avessi vissuto questa infanzia e adolescenza. Che purtroppo ha contribuito a scavare in me carenze affettive, e con esse la convinzione di essere stato privato ingiustamente di attenzione, fiducia e sostegno. Così cominciai a vedere molti di coloro che frequentavo come personalità distratte, disinteressate a me, sbrigative, sicure, spavalde: tutti comportamenti che mi facevano soffrire. Così cominciai a sognare, a immaginare, di spaventare costoro. Dimostrando che le loro certezze erano fasulle, i loro equilibri precari, la loro spavalderia solo sfacciata presunzione. Come riuscirci? Costruendo dentro di me, nella mia mente, situazioni in cui quegli adulti o quei coetanei scoprivano di essere deboli e indifesi. Come la vittima davanti all’assassino, in un giallo.

Questo è stato il mio esordio vero come autore, in maniera del tutto inconsapevole.

Tuttora, quando incontro qualcuno che si comporta con me con quella distrazione, disinteresse, indifferenza, sbrigatività, mi sembra di tornare ragazzo, e so che presto la mia immaginazione sarà ispirata da una sofferenza antica e nascerà un nuovo romanzo.

Si dice che sir Arthur Conan Doyle abbia creato Sherlock Holmes durante le lunghe ore di attesa inutile di pazienti, quando da giovane dottore aveva rilevato una condotta medica. E un critico commentò argutamente che quell’inverno sarebbe bastato qualche raffreddore in più, e Sherlock Holmes non sarebbe nato.

Allora forse è vero che se da ragazzo avessi incontrato persone diverse, affettuose e comprensive, forse non sarei mai diventato un autore di storie che fanno paura!

 

8-MG- Come ti sei trovato, come scrittore, in questo scenario da film che è stato (ed è tuttora) il periodo covid-19? Che ripercussioni ha avuto nel tuo lavoro di scrittore?

A casa sto benissimo, ho i miei spazi, il mio ambiente ideale, la mia videoteca, la libreria, la mia collezione di vini. Uscire lo stretto indispensabile non mi è pesato molto, e ho avuto il tempo e la concentrazione per scrivere, leggere e vedere le storie che amo. Soprattutto, ho avuto finalmente il tempo per convivere con me stesso, riflettere, ricordare, pensare. Cioè l’attività che preferisco.

 

9-DB, MG – Grazie Enrico per lo spazio dedicato alle interviste del blog Giallo e Cucina, ci salutiamo con la solita ricetta e a questo punto vorremmo conoscere quella di uno dei tuoi personaggi. Il commissario Tonio Buonocore.

Ah, il mio carissimo commissario da buon napoletano ama i piatti a base di pesce, che accompagna con vini della sua regione. Nel suo ristorante preferito, a Chiaia, sceglie sempre personalmente ogni accostamento (guidato da me, naturalmente). Quando è costretto (nel vero senso del termine, devono ordinarglielo) di allontanarsi dalla sua città, finge di apprezzare le specialità gastronomiche delle altre regioni, ma dentro di se si ripromette di rifarsi con una buona zuppa di pesce non appena tornato (finalmente) a casa.

La ricetta dunque non può che essere quella della zuppa di pesce tradizionale, che si trova sui migliori manuali di cucina, come il Cucchiaio d’argento (diffidare o perlomeno verificare bene le ricette su Internet, prego).

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