Ci invita a pranzo Andrea Molesini, vincitore del SuperCampiello 2011 con il romanzo “Non tutti i bastardi sono di Vienna”. Leggiamo come si racconta nell’intervista rilasciata ad Alessandro Noseda.
D: Buongiorno e grazie per l’accoglienza. Ci racconti chi sei e perché leggi e scrivi?
R: Quello che sono non l’ho ancora ben capito. Mi piace leggere, scrivere, mangiare e bere con gli amici, e mi piace osservare le debolezze umane, il coraggio e la grazia che qualche volta, purtroppo raramente, fanno capolino nel vivere di tutti i giorni. Mi piacciono le donne, soprattutto perché in loro c’è qualcosa di impavido, sono più forti di noi uomini, non so perché, ma sento che è così. Naturalmente non le capisco, ma amarle è meglio di capirle. Credo almeno.
D: Come ha influito la vittoria al SuperCampiello sulla tua vita?
R: Sono ingrassato. Ero molto felice di aver vinto, vincere è più bello di partecipare, ma poi sono venuti gli inviti a cena, tanti, e ho finito col fare due buchi in più alla cintura. E tutto questo l’ho scontato con due mesi di dieta. Che brutta cosa la dieta!
D: Te lo aspettavi di vincere?
R: No, non ci pensavo nemmeno. Però la sera del 3 settembre, subito prima dello spoglio dei voti popolari (la giuria dei trecento lettori, che cambia ogni anno), ci fu un buffo segno del destino. Il mio editore, Antonio Sellerio, che incontrai sulla terrazza del Bauer, dove si teneva una bicchierata di benvenuto per gli addetti ai lavori, mi disse che nel pomeriggio aveva visto, al museo Fortuny, il quadro che era stato messo sulla copertina della “Diceria dell’untore” di Gesualdo Bufalino, che trent’anni prima, nel 1981, aveva vinto il Campiello, unico autore Sellerio. Quel quadro s’intitolava “L’attesa”, lo stesso titolo del quadro in copertina del mio “Non tutti i bastardi sono di Vienna”. «Che sia un buon auspicio?» disse Antonio. Un paio di ore dopo, dei 282 voti espressi, spalmati su cinque candidati, ne ricevetti 102. Quando, a notte fonda, dopo una omerica bevuta con gli amici, tornai all’albergo, mi accorsi che il numero della mia stanza era 102. Una bella coincidenza, vero?
D: I tuoi romanzi, come nasce l’idea?
R: Una frase che sento per strada, o un’immagine improvvisa che inspiegabilmente accendono qualcosa che diventa un paragrafo, l’attacco di un libro. Quando inizio non so ancora niente del libro, lascio che si scriva da sé, per un po’… poi devo fermarmi e cominciare a riflettere, a studiare, a immaginare infanzie e traumi dei personaggi, dare sostanza all’ambiente, e così via. Ma l’inizio è sempre misterioso, un tuffo nel vuoto.
D: Dove scrivi? Hai un “luogo del cuore” dove trovi ispirazione?
R: Scrivo a casa mia. In una piccola stanza con la volta a botte, dove tengo solo dei libri molto cari, e che finisce con l’essere tappezzata di foto, mappe, schemi, disegni, frammenti di biografie, tutte cose che mi aiutano a definire quelle presenze inquiete e ribelli che sono i personaggi.
D: Preferisci il silenzio o ami la musica di sottofondo?
R: Mi piace il silenzio. Ma scrivo spesso in compagnia della musica, Schubert e Schumann, soprattutto.
D: “La primavera del lupo” è la tua ultima fatica. Dove hai trovato spunto? Quanto prendi in prestito alla realtà e quanto è frutto della tua fervida fantasia? Come delinei i personaggi? Segui una scaletta o ti fai guidare dalla storia?
R: La primavera del lupo è un libro ispirato, si è scritto da solo (so che la frase suona retorica, ma è così, non posso farci niente). I personaggi e la storia sono nati insieme, fusi nel linguaggio del protagonista, un bambino di 10 anni, Pietro, che ha coraggio e immaginazione. È la sua tempra che ha fatto il libro, più che la mia. In genere cerco di conoscere e caratterizzare bene i personaggi in modo che prendano le proprie decisioni da soli, senza il mio intervento, man mano che la storia, il destino, li trascina verso un luogo sconosciuto, a me come a loro. Sono loro, i personaggi, che mi fanno via via scoprire la storia.
D: Quanto ti sono utili il tuo curriculum studiorum e la professione “reale” (è docente di Letterature comparate, n.d.r.) nello scrivere?
R: Ben poco, forse niente. La mia professione più vera è scrivere. Però insegnare mi piace. Sento che i ragazzi sono la parte migliore dell’umanità, se non altro perché credono ancora di essere i signori del proprio destino. Le loro illusioni sono belle, commuovono. E quando, nel silenzio dell’aula, scorgo alcuni sguardi rapiti da un verso, una frase… penso che, a dispetto di tutte le amarezze, la vita sia davvero un’avventura straordinaria.
D: Quali sono state le maggiori difficoltà nella stesura del romanzo?
R: Ogni frase è un azzardo, un tuffo in un territorio sconosciuto. Le mot juste è una fatica meravigliosa e terribile, con cui non smetto mai di imparare, piano piano, tra incertezze e sempre nuove difficoltà, a convivere.
D: E del rapporto con Editor ed Editore cosa puoi dirci?
R: Ho grande stima di Sellerio. Un editore audace e raffinato, una redazione motivata da una visione “alta” di letteratura. Sono molto onorato di essere incluso in un catalogo che accoglie Sciascia e Scerbanenco, Camilleri e Piazzese, Ben Pastor e Max Aub, Arnold Toynbee e Anatole France.
D: Hai altri progetti in fieri?
R: Molti, quasi tutti confusi. Nell’immediato debbo scrivere un racconto ambientato sul campo di battaglia della Grande Guerra per una trasposizione cinematografica, un lungometraggio di animazione. E a maggio esce con Sellerio “Presagio”, una storia d’amore intensa e tragica, ambientata a Venezia, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1914, nei giorni in cui l’Europa e la sua magnifica civiltà cosmopolita s’incamminano, inconsapevolmente, verso il suicidio.
D: E se ti proponessero una sceneggiatura per un film? saresti d’accordo o ritieni che i tuoi romanzi soffrirebbero nella trasposizione cinematografica?
R: Certo che sarei d’accordo. Non credo che i miei romanzi soffrirebbero né si gioverebbero di questa o altra trasposizione. Ogni arte ha il suo linguaggio e ogni linguaggio vive per proprio conto.
D: Descriviti come lettore? Quali libri compri? Hai un genere preferito o spazi a seconda del momento, dello stato d’animo? E se devi regalarlo un libro come scegli?
R: Sono onnivoro, bulimico. Leggo soprattutto narrativa e poesia, di ogni epoca, ma anche saggi, libri di storia e di scienza. Rileggo Omero quasi ogni anno, sempre in nuove traduzioni, se posso. Regalo solo un libro se prima mi ha appassionano, perché è l’emozione che conta.
D: Un consiglio a un esordiente che ha la sua storia nel cassetto e non ha trovato ancora nessun editore interessato a pubblicarla?
R: Un consiglio? Meditare su questa poesia di Antonio Machado che s’intitola, appunto, Consigli: “Sappi attendere, aspetta che la marea risalga / – come una barca in secco – né t’inquieti il partire. / Solo chi attende sa che la vittoria tiene, / perché lunga è la vita, ed è l’arte un trastullo. / E se la vita è corta / e non lambisce il mare la tua barca, / senza partire aspetta e ancora aspetta, / ché l’arte è lunga – e, per di più, non conta.”
D: Ti piace presentare i tuoi libri al pubblico? Una domanda che non ti hanno mai fatto (e a cui avresti voluto rispondere) ed una che t’ha messo in difficoltà?
R: Sì, soprattutto se la sala è bella piena. Non penso mai alle domande che non vengono fatte, quello che non accade non mi riguarda. Non ricordo una domanda che mi abbia messo in difficoltà, ci sarà stata, senz’altro, ma non me ne ricordo.
D: E prima di metterci a tavola, come consuetudine di Giallo e Cucina, ti chiediamo di chiudere con una ricetta e una citazione! E grazie ancora per il tuo tempo!
R: Una ricetta? Non sono bravo ai fornelli anche perché sono un pigrone, però so fare le uova, in tutte le salse, e l’uovo à la coque è il mio piatto preferito. Una crêpe, con la marmellata di albicocche fatta in casa, per me è la fine del mondo.
Una citazione? Approfitto per dare libero sfogo alla mia vanità, che non ho ancora imparato a tenere a bada, e così cito una frase tratta da un mio libro: “Ogni cosa è senza scopo ma è avvincente perché la viviamo”. Buon appetito a tutti.
Andrea Molesini