L’intervista è stata realizzata nella biblioteca “A. Cassina” di Verbania a margine del festival “È stato il maggiordomo”, un sentito grazie a Alessandro Robecchi per aver risposto alle mie domande in una situazione precaria (si stava allestendo lo spazio, i musicisti provavano e la gente stava già entrando).
Alessandro Robecchi nato a Milano, dice di sé: “… per anni era abbastanza semplice, bastava dire che facevo il giornalista, ed era pure vero… poi le cose si sono un po’ complicate e ora non sarei più così sicuro (giornali, libri, romanzi, tivù, teatro… insomma… boh). Di solito scrivo, posso dire questo. È uno degli autori di Maurizio Crozza.
Dalla nascita di Carlo Monterossi, con “Questa non è una canzone d’amore” (2014), sono passati dieci anni, il libro attualmente in libreria si intitola “Pesci piccoli”. Tutti i libri della serie Monterossi sono editi da Sellerio editore.
1.MaBal – Alessandro, mi piacerebbe sapere come è nato Carlo Monterossi, come ti è venuta l’idea?
A.R. Ma, dunque, il personaggio è nato perché io volevo un protagonista, sai che l’ambiente è affollato. Io volevo un protagonista che non fosse un poliziotto, un carabiniere, un magistrato, cioè non uno che lo fa di mestiere e questo per due motivi, il primo è che volevo uno come noi, che davanti al delitto si spaventa e quindi ha una reazione diversa da quella che può avere Montalbano che è il suo mestiere. Il secondo è che non volevo un protagonista, come dire, punitivo, cioè Monterossi non deve mettere in galera nessuno, non ne ha il potere, e non ne ha nemmeno il desiderio. Cioè, quello che lui vuole fare è capire quelle cose enormi che ci sono nel noir: il bene, il male, il delitto ecco capire quelle cose li, guardarle se possibile anche dal punto di vista di chi le commette. Quindi, diciamo che Monterossi ha in mano sempre nella storia un dossier etico-morale che è il suo bene e il suo male. Non quello che c’è scritto nel codice penale, che sono cose molto diverse. E quindi volevo un personaggio così, che avesse, diciamo, un approccio etico e non un approccio punitivo. In tutti i miei libri, soprattutto quello che se ne ha occupato di più è “Torto Marcio”. Ci sono due tipi di giustizia: una è la giustizia, diciamo così dei tribunali, i faldoni, gli avvocati, quella scritta: la legge è uguale per tutti. E poi c’è quel senso di giustizia che ognuno ha dentro di sé, con mille differenze per carità, ma che non sempre quello che è giusto è legale e non sempre quello che è illegale è sbagliato. In quell’intercapedine lì, io lavoro con le mie storie.
2. MaBal – Nei tuoi libri ci sono importanti coprotagonisti una di queste è Katrina, la donna che si occupa del benessere di Carlo come colf, cuoca, nume tutelare e sorvegliante di moralità, è quasi famiglia per Monterossi?
A.R. Ma, dunque, un po’ io sono convinto che la commedia e la tragedia e il dramma, tutto ciò che esiste in natura, nella vita, quindi è giusto tenerla dentro. Katrina è nata un po’ dal mio, come dire, desiderio, cioè, una che ti riempie il frigo, una che ci pensa a lei, che tu non devi pensare, in tutte le famiglia italiane c’è sto dramma verso le 19, la sera, che ci si dice cosa prepariamo per cena? Non pensare a quella roba lì per me sarebbe un regalo inestimabile. In più, c’è questa cosa che quando tu dai quel potere a una persona, quel potere lì diventa anche altro. Katrina ha una specie di controllo morale sui comportamenti di Carlo, un po’ materno, un po’ da sorella maggiore, un po’ “signor Carlo, deve trovare una brava ragazza.” E quindi diventa un po’ quella cosa lì, sì, si può dire che è famiglia, in una accezione ampia di affetti. I personaggi minori sono fondamentali servono oltre che a muovere le storie anche a disegnare meglio i protagonisti. Ti faccio un esempio da “I soliti ignoti” (film del 1958 con Vittorio Gassman, regia di M. Monicelli n.d.r.) Capannelle (Carlo Pisacane n.d.r.) nella trama potrebbe anche non esserci, è lì perché così Gassman si sente più figo, i personaggi minori sono fondamentali come il sale nella pasta, se non ce lo metti senti che manca.
3. MaBal – Alessandro, tu parti da una storia e la adatti al tuo personaggio, Carlo Monterossi, oppure cerchi le storie partendo dal personaggio?
A.R. No, allora io parto, ed è una cosa che rimprovero sempre un po’ ai miei colleghi, parto da prima, da cosa voglio dire. di cosa mi voglio occupare, per esempio in “Torto marcio” (2017), volevo occuparmi di quella roba lì della giustizia. Ma per esempio non so, in “Follia maggiore” (2018), volevo occuparmi del rimpianto, che è un sentimento interessante, come dire, che non è la nostalgia, non è la malinconia, è un’altra roba. E una volta che mi interessa quell’argomento, lentamente, piano piano, senza correre ci costruisco sopra una storia, una trama; il rimpianto è diventata una donna, nel caso di “Follia maggiore”, ma che non è mai solo una donna, è tutto quello che poi una donna rappresentava, etc. E quindi devo dire che se c’è, io parto sempre da: di cosa vogliamo parlare? Cosa voglio dire? Dopo, la storia viene piano piano, poi si modifica, si precisa quando uno la pensa, poi mi metto a scrivere, quando ho la storia in testa, devo avere in testa la storia come se l’avessi vissuta io, cioè me la ripeto, ho sempre una finestra di word aperta nel cervello.
4. Ma.Bal – Alessandro ma non ti capita, che ad un certo punto, rispetto a quello che hai pensato tu, qualcosa succede ed è come se i tuoi personaggi prendessero una loro strada?
A.R. Guarda, io questa roba qua dei personaggi che uno non li controlla, non è che ci credo tanto, cioè i personaggi li controllo io. Però è vero che mentre scrivi, ti può venire un’idea migliore, oppure l’idea che avevi capisci che potresti complicarla un po’, oppure ti viene in mente un nuovo punto di vista e dici, c’è anche questo punto di vista e allora lo complichi. Però di solito mi metto a scrivere, quando ho la storia dalla a alla zeta. Mentre scrivo, ovviamente, ci sono delle cose che entrano, che escono, che si modificano, però lo scheletro della storia rimane quasi sempre quello. Non ho mai cambiato un finale.
5. MaBal – Un altro personaggio che mi è piace moltissimo è Oscar Falcone. È uno dei coprotagonisti che preferisco e che seguo con interesse dal primo libro. Cosa mi dici di lui e dell’amicizia con Carlo?
A.R. Sì, Oscar è misterioso e di lui non sappiamo niente, e te lo dico, non sapremo mai niente di Oscar. Non sapere niente di lui è parte del personaggio. Oscar nasce dalla mia esperienza, ho fatto il giornalista per tanti anni e mi ricordo che quando ero ragazzino che incominciavo, che nelle redazioni c’erano quei personaggi, che magari non scrivevano sul giornale, però sapevano le cose erano in contatto con i carabinieri, ma anche con i delinquente, e quindi… E’ una figura così, uno che trova le informazioni. Ecco, Oscar è così, infatti nei primi libri non è ancora un investigatore privato, lo diventa più tardi. E’ uno che sa che le informazioni sono potere e valgono e che quindi sa dove trovarle. Anche a me è un personaggio che piace molto. A parte che scardina un po’ quell’effetto Sherlock Holmes, Watson, no? Per cui Falcone non è solo un osservatore delle gesta, anzi, casomai sarebbe l’inverso, che Watson è Monterossi e questa confusione dei due ruoli, li rende complementari. Come tutte le amicizia vere, è un’ amicizia un po’ scontrosa. Senza smancerie, sono amici.
6.Ma.Bal – Parliamo un po’ di televisione. Perché Monterossi, che basa il suo benessere sul suo lavoro di autore, ce l’ha tanto con la televisione?
A.R. Attenzione però, a parte che adesso Monterossi potrebbe mollarla senza problemi, però, è una sostanza collosa, intanto non parliamo della televisione, parliamo di quella televisione lì, di quel tipo di televisione, che è una schifezza, una schifezza moralmente. L’Italia, poi è l’unico paese, l’unico del pianeta, dove una madre ha saputo del ritrovamento del cadavere della figlia quattordicenne, in diretta TV, gliel’hanno detta loro, questa cosa. Non va bene, è sbagliato. Quindi, se tu ti trovi, ad aver ideato quella roba lì, che poi è diventata un’altra cosa, perché i soldi l’hanno trasformata in un’altra cosa, è la tua creatura ma te ne vergogni, quindi è vero che a lui gli dà da mangiare, però è anche vero che lui, vorrebbe che fosse un’altra cosa, quindi, non è così semplice. Infatti, quando io dico che il Monterossi contiene del blues intendo proprio questo, cioè contiene una malinconia interna sua, che è data dal fatto che è una cosa per cui tutti lo invidiano, lui è servito e riverito e invece si vergogna, perché è un personaggio non risolto, è un personaggio complicato. Quante volte noi facciamo una cosa che non ci va di fare, eppure la facciamo lo stesso?
7.MaBal – La musica, ha un grande significato nelle tue storie, a Monterossi fai ascoltare Bob Dylan, immagino che nasca da una tua passione. Cosa mi puoi dire in proposito?
A.R. Guarda, Bob Dylan sì, nasce da una mia passione. È nato in questo modo, nel primo libro già c’era Monterossi che aveva sempre degli amori, che palle. Poi non c’è niente di peggio dell’uomo adulto che ha quelle cose lì. Quindi ho detto ti do un’amore mio, di quelli “non ci lasceremo mai” e gli ho dato Dylan. Poi più avanti mi sono accorto di un’altra cosa, che non era solo un trucchetto, era anche il fatto che Dylan, come Shakespeare , come la Bibbia, avrà sempre una cosa che la dice meglio di come la diresti tu, una roba emotiva, un movimento del cuore, un sentimento che è difficile da descrivere e lui, zac, in una riga ti dà la fulminazione. Ecco, io penso, al di là di Dylan, anche quando mi sono occupato di Rossini, per esempio, o di Desnos in Flora, i poeti servono a questo, cioè, loro hanno le parole che a volte noi, spesso noi non abbiamo. Quindi bisogna usare loro, perché no? E quindi Dylan è usato proprio in quel modo li, quando io, non so come dire una cosa, un movimento del cuore del Monterossi, sono sicuro che c’è una riga di Dylan che lo dice. Oltre al fatto che parliamo di un premio Nobel.
8.MaBal – Per il nostro blog “Giallo e Cucina” è d’obbligo chiederti se hai un piatto/cibo preferito o nel quale ti rifugi? E la stessa cosa te la chiedo per il tuo personaggio Carlo Monterossi.
A.R. No, guarda, che mi rifugi, no, perché non ho bisogno di rifugiarmi da nessuna parte. Diciamo che è più facile che mi rifugi in un libro, nella musica, ecc. ecc. Devo dirti che, da lombardo, se uno la trova, ma è sempre più difficile, trovare una cotoletta fatta bene, io, quando mi capita, sono un uomo molto felice, purtroppo, è sempre più difficile, Se invece, la cotoletta non ti soddisfa, ti dirò che l’ossobuco è un’altra cosa, qui tradisco le mie origini, che mi piace. Mi piace anche la cacio e pepe, l’ amatriciana, però devo dire, che quando penso: “adesso mi siedo lì e mangio” ecco, quelle due robe lì, mi interessano molto. Non sono vegano. Carlo invece mangia quello che gli cucina Katrina e quindi gli va molto bene. Diciamo che Carlo più che altro beve bene, soprattutto, whisky, ero partito nei primi libri dall’Oban 14 che è un ottimo whisky con un ottimo bilanciamento tra il torbato e il non torbato. Non è il Lagavulin, che sembra di bere carbone e però, adesso, devo dire che i giapponesi, mi spiace dirlo, ma, insomma, i giapponesi hanno surclassato gli scozzesi di una bella spanna, per cui, un Nikka, un whisky giapponese, è mediamente migliore di un whisky delle isole, poi, ovviamente, siccome nelle isole ce ne sono 150, non prendiamolo come oro colato, però i giapponesi hanno fatto passi da gigante.
Alessandro Robecchi è stato un piacere intervistarti!